Unicredit, Andrea Orcel: «Unione bancaria unico antidoto contro gli shock»

Il ceo: l'Europa diverrebbe più forte sullo scacchiere mondiale se fosse completato il processo di integrazione

Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit
di Rosario Dimito
6 Minuti di Lettura
Mercoledì 5 Aprile 2023, 13:17 - Ultimo aggiornamento: 6 Aprile, 09:30

Dottor Andrea Orcel, che cosa hanno insegnato le recenti crisi bancarie che di nuovo hanno fatto tremare il sistema quando ormai si pensava che eventi simili al crollo del 2008 erano ormai alle spalle?

«Momenti come quelli ci fanno riflettere sul ruolo delle banche. Gli shock di oggi hanno di nuovo messo in discussione la fiducia e la credibilità dei sistemi bancari e ora vanno recuperate e riconfermate. Per fortuna in Europa sta già accadendo. Ho sempre pensato che il sistema creditizio deve essere consapevole delle responsabilità che ha nei confronti di tutti gli stakeholder. Questo è ciò che intendiamo in Unicredit quando parliamo di stabilire un punto di riferimento per il settore, sapendo di avere una presenza paneuropea e le capacità di incidere a livello continentale».

Se da questa parte dell’Atlantico la situazione sembra essersi stabilizzata, Oltreoceano non può dirsi lo stesso. È pur vero che il caso Silicon Valley Bank ha trovato una sua sistemazione, ma altre banche medio-piccole sembrano ancora alle prese con l’infezione. Quanto è ancora vivo il rischio di contagio?

«Per ora posso dire che le autorità Usa hanno affrontato con rapidità i casi più a rischio, sia con iniziative della Fed sul fronte della liquidità sia con l’intervento della Fdic che ha coperto tutti i depositi, compresi quelli non assicurati. Il Tesoro degli Stati Uniti ha inoltre segnalato al mercato la possibilità di prendere in considerazione una garanzia totale sui depositi se dovessero emergere ulteriori rischi. Queste misure evitano la necessità di vendere titoli in caso di deflusso dei depositi e la garanzia implicita su di essi ha evitato l’ulteriore corsa. Per ora credo che la situazione sia stata tamponata anche negli Stati Uniti».

È possibile che tutto ciò porti a un nuovo processo di consolidamento del sistema bancario americano?

«Molto probabile. E soprattutto ciò comporterà nuove regole per le banche locali di medie dimensioni. Le insolvenze dei prestiti immobiliari commerciali potrebbero aumentare, ma per ora rimangono a un livello gestibile. Ne sapremo di più a maggio, quando la Fed pubblicherà i risultati della revisione normativa in corso. Penso che l’intervento debba avvenire sulle regole di contabilizzazione dei titoli in “held to maturity”».

Anche in relazione alle crisi bancarie la Fed ha scelto di rallentare la velocità dell’aumento dei tassi Usa e ha informato i mercati che per quest’anno probabilmente si fermerà al 5%. Sarà ugualmente efficace la guerra all’inflazione?

«La Fed è indubbiamente diventata più cauta, riconoscendo che le recenti tensioni sui mercati porteranno probabilmente a un inasprimento del costo dei prestiti. Ma questo non significa che la Fed sarà meno efficace nel contrastare l’inflazione poiché ritiene che tali standard più severi sostituiranno la necessità di alcuni rialzi. In altre parole, cambia la composizione delle misure ma non l’ammontare aggregato della stretta. Detto ciò, a mio avviso la Fed manterrà un orientamento restrittivo: non mi sorprenderebbe se a maggio ci fosse un altro rialzo di 25 punti base, mentre i tagli dei tassi inizieranno solo l’anno prossimo».

A proposito di tassi, anche la Bce è parsa più prudente, pur confermando il promesso aumento di 50 punti base a metà marzo. Nondimeno, a Francoforte le polemiche tra falchi e colombe non si sono placate. Qual è la sua opinione? Ha ragione il tedesco Nagel oppure gli italiani Panetta e Visco?

«Nella riunione di marzo, la Bce ha sì effettuato il “promesso” rialzo di 50 punti, ma ha ribadito la fiducia nel settore bancario e ha rinunciato alla guidance sui tassi, pur affermando che, se lo scenario di base dovesse confermarsi, saranno necessari altri rialzi.

Quando l’incertezza aumenta, è corretto agire in funzione dei dati. Credo che alla fine la Banca centrale adotterà un approccio equilibrato, probabilmente aumentando i tassi più di quanto vorrebbero le colombe, ma meno di quanto auspicato dai falchi. È possibile che il “tasso di deposito” raggiunga un picco in estate».

Stabilità e crescita in Europa: quanto possono impattare le recenti turbolenze?

«Non siamo nel 2008. Gli eventi americani hanno evidenziato turbolenze solo in un particolare segmento del settore bancario Usa, mentre i problemi del Credit Suisse erano unici per quella banca e per il suo modello. L’economia americana è in buona forma. Ma la situazione delle banche europee è migliore e i mercati lo sanno. Sono meglio capitalizzate e meno vulnerabili, hanno una migliore liquidità e il livello di assunzione di rischio è inferiore».

Che cosa dovrebbe fare l’Europa per essere all’altezza delle emergenze che di tanto in tanto si profilano?

«Come dicevo, le banche europee sono sostenute da una solida base economica, ma l’Europa deve ancora fare molto per consolidare il suo posto sulla scena mondiale. Ad esempio, il rafforzamento di un’Unione bancaria e dei mercati dei capitali non solo consoliderebbe il settore bancario stesso, ma rinvigorirebbe la stabilità dell’Europa sulla scena globale e sarebbe fondamentale per le famiglie e lo sviluppo delle imprese. La loro mancanza ci sta costando un significativo differenziale di crescita».

Può essere più esplicito? Magari spiegando le ragioni che rendono così importante sviluppare oggi l’Unione dei mercati dei capitali e l’Unione bancaria?

«Mercati dei capitali più profondi e integrati sono necessari per una più rapida trasmissione della politica monetaria, sarebbe più facile l’assorbimento degli shock, e per finanziare gli investimenti. Purtroppo, al momento i mercati dei capitali in Europa sono sottosviluppati rispetto ad altre economie. La capitalizzazione delle società quotate nell’Eurozona è aumentata del 50% negli ultimi 7 anni, ma quella del mercato americano del 120%. In Cina siamo addirittura al 160%. Tra il 2014 e il 2021 la crescita del Pil reale nella zona euro è stata dell’1,2%, negli Usa del 2,1% e in Cina del 6,4%. L’Europa è molto indietro. È necessaria una vera unificazione delle economie europee e dei nostri servizi finanziari se vogliamo competere e recuperare il gap a livello mondiale».

Nella sua vita professionale lei ha visto molto fuori dall’Italia. E poiché la percezione può essere importante quanto i fatti, che cosa ha scoperto su come vengono percepiti Unicredit e l’Italia?

«Sia l’Italia sia Unicredit sono spesso giudicate in modo errato perché vengono viste attraverso la lente del passato, invece di essere considerate per come sono oggi. Unicredit è una banca diversa da quella di due anni fa, non solo in termini di solidità di bilancio, ma anche di approccio alla generazione di un nuovo livello di redditività. È una banca trasformata e dovremmo essere giudicati come tali. Ma ci vuole tempo per cambiare le percezioni».

Quanto all’Italia?

«L’Italia non è da meno, viene giudicata attraverso stereotipi, azioni e decisioni di un tempo ormai lontano. Ma anche l’Italia è a buon punto per liberare davvero il suo potenziale e non può lasciarsi sfuggire questo momento epocale. Sono ottimista, ma deve essere fatto».

Un’ultima domanda. Lei ha lavorato per Ubs alla cui guida è tornato il suo ex collega Bruno Ermotti, conosce molto bene la Svizzera, quanto successo in Credit Suisse era evitabile?

«Non posso dire se fosse inevitabile, dato che non conosco tutti i dettagli della situazione. Quello che so è che era necessario agire con rapidità e decisione».

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