Secondo la Commissione europea il mercato vale 700 miliardi di euro.
Stima troppo generosa per il futuro dei Pepp (Prodotto pensionistico individuale paneuropeo)? Il lentissimo sviluppo della previdenza complementare in Italia potrebbe dire che si tratta di un eccesso di fiducia. Ma l’Europa non è l’Italia. I contributi previdenziali obbligatori – il vero piombo nelle ali dello sviluppo delle pensioni aggiuntive nel nostro Paese – sono molto più leggeri in quasi tutti gli Stati dell’Unione. Lo spazio non manca, anche e soprattutto perché si tratta di un prodotto – l’unico al momento – che assicura la portabilità in tutti i Paesi europei. Un primo tassello per una difficile unione previdenziale europea.
LA PLATEA
Sono circa 13 milioni i cittadini europei che risiedono in uno Stato diverso da quello di cittadinanza (il 4,2% del totale). Sono i primi naturali destinatari della novità, che in Italia è praticabile dallo scorso maggio, quando il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo per l’attuazione del regolamento Ue 2019/1238, relativo all’introduzione nel sistema previdenziale nazionale del Pepp. L’obiettivo della disciplina europea è di consentire al risparmiatore previdenziale una scelta più ampia e benefici maggiori in termini di maggiore concorrenza, trasparenza e flessibilità per quanto riguarda le opzioni di prodotto disponibili. L’introduzione del Pepp potrebbe, inoltre, essere di stimolo per una più ampia diffusione dell’uso di procedure di adesione online, considerando che i prodotti pensionistici individuali pan-europei saranno con tutta probabilità collocati principalmente con tale modalità. In realtà a partire da maggio di quest’anno enti creditizi, imprese di assicurazione, enti pensionistici aziendali o professionali, imprese di investimento, società di gestione, gestori di fondi di investimento alternativi della Ue possono offrire ai cittadini europei questo nuovo strumento di previdenza complementare.
LA NORMATIVA
Ma oltre alla competizione interna, l’introduzione dei Pepp, secondo Fabio Marchetti dell’Università Luiss, «potrebbe comportare una concorrenza dei Pepp esteri tanto nei confronti degli “italiani” quanto delle forme individuali di previdenza complementare domestiche (fondi aperti, PIP) a causa del diverso regime fiscale cui i Pepp esteri potrebbero essere assoggettati (nessuna tassazione dei rendimenti finanziari in fase di accumulo, secondo lo schema Eet). Ciò dovrebbe indurre il legislatore italiano a ripensare la disciplina fiscale della previdenza complementare sostituendo l’attuale regime ETT con il regime Eet». Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza, ha recentemente promosso un seminario sul tema. E ha messo l’accento proprio sulle incognite normative, «da sciogliere a breve», che ancora gravano sui Pepp. «È da auspicare – sostiene – che il legislatore, il quale, ragionevolmente, estenderà ai Pepp la normativa fiscale dei fondi pensione, colga l’occasione per eliminare la stortura della tassazione dei rendimenti conseguiti in fase di accumulo, abolendola». Secondo Elena Moiraghi, responsabile del servizio legale della Covip, l’Autority che avrà il ruolo principale nella vigilanza sui Pepp, non solo su quelli italiani ma anche quelli esteri che apriranno un sottoconto in Italia, è fondamentale far sì che la normativa nazionale non crei condizioni di arbitraggio rispetto al sistema, ma che tra la disciplina dei Pepp e quella delle forme pensionistiche complementari esistenti ci sia sempre una “omogeneità”.
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