Luxury, gioielleria e cybersecurity: ecco i macrosettori in crescita nonostante la crisi energetica

Luxury, gioielleria e cybersecurity: ecco i macrosettori in crescita nonostante la crisi energetica
di Giusy Franzese
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Mercoledì 7 Settembre 2022, 15:02 - Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 07:25

Navigano a gonfie vele, nonostante tutto.

Continuano a conquistare quote di mercato e macinano profitti. Il caro-energia, l’enorme spada di Damocle che pende minacciosa sulla testa della stragrande maggioranza delle imprese mettendone a rischio in alcuni casi anche la sopravvivenza, su di loro sembra non avere alcun effetto. O meglio: nessun effetto tale da bloccarne l’avanzata. Ebbene sì, esistono. E non stiamo parlando delle società che vendono energia o prodotti petroliferi. E nemmeno delle imprese che operano in nicchie di mercato con prodotti iperspecializzati, altrimenti impossibili da trovare. Stiamo parlando di interi settori. Che non hanno mai fermato la corsa iniziata nella seconda parte del 2021 per recuperare quanto perso nei periodi di Covid acuto. Non sono tanti. Ma ci sono. Quello dei beni di lusso, ad esempio, inteso in tutte le sue declinazioni: abbigliamento ma anche gioielli, orologi di pregio. Le costruzioni che, nonostante i rincari delle materie prime, continuano a beneficiare di una domanda spinta dal superbonus. E soprattutto il settore legato alla cybersecurity, diventato ancora più indispensabile quest’anno con l’avvio della guerra in Ucraina e il proliferare di attacchi hacker.

SEMESTRALI AVANTI TUTTA

È un fenomeno noto: le crisi economiche sono un dramma per i poveri, trascinano verso il basso la classe media, hanno impatti meno devastanti per i ricchi. Ai super-ricchi invece in genere “fanno un baffo”, nel senso che se anche il loro patrimonio dovesse essere parzialmente eroso, quello che si salva è così imponente che il loro stile di vita non è intaccato. Ebbene, dopo aver vissuto la peggiore contrazione di sempre nel 2020, il settore dei beni personali di lusso ha iniziato a recuperare alla grande già negli ultimi mesi del 2021 soprattutto con l’export, mettendo a segno quello che gli economisti chiamano “rimbalzo a V” e superando i risultati pre-Covid. Il quarto trimestre dello scorso anno si è chiuso, a livello di comparto, con un +7% sul 2019. Il primo trimestre di quest’anno ha portato l’asticella a +17% rispetto all’anno prima. Le semestrali dei singoli brand sono state da record. Brunello Cucinelli ha comunicato un aumento vertiginoso dell’utile (+131%) e una crescita dei ricavi del 32%. Complessivamente nell’anno – questa la previsione della società – l’aumento del fatturato sarà «intorno al 15%». Naviga alla grande anche il gruppo Prada che ha chiuso il primo semestre con un fatturato cresciuto del 22%. L’ad Patrizio Bertelli si dice «fiducioso» anche per la seconda parte del 2022. Bottega Veneta e Gucci (marchi entrambi del gruppo Kering) hanno messo a segno rialzi dei ricavi rispettivamente del 18% e del 15%. E potremmo continuare a scorrere l’elenco dei progressi a due cifre degli altri brand. C’è da dire che la “pausa Covid” è stata utilizzata da molti luxury brand per accelerare le trasformazioni: «Il presidio degli spazi digitali (inclusi metaverso e gaming) e il posizionamento dei brand sui valori della sostenibilità sono sempre più rilevanti», nota Matteo Lunelli, presidente di Altagamma.

La chiusura del mercato russo? «Valeva intorno al 2-3%, l’impatto è stato minimo» spiegano gli esperti. Per questa seconda parte dell’anno sono previsti due possibili scenari: quello ottimistico che fissa l’asticella della crescita tra il 10 e il 15% sul 2021; quello conservativo che la abbassa al 5-10%. Resterebbe comunque una “signora crescita”. Segnali più che positivi (+ 30% nella prima parte del 2022) arrivano anche dal comparto orafo che, dal 9 al 13 settembre, vedrà oltre mille brand esporre le sue creazioni a Vicenzaoro. D’altronde in periodi di alta inflazione, si sa, l’oro è uno dei beni rifugio preferiti.

LA GUERRA INFORMATICA

 Altro settore che non è toccato dalla crisi energetica è quello della cybersecurity. Anzi, non solo non è toccato ma ci sguazza alla grande, visto il crescente bisogno di protezione dei propri sistemi informatici dei grandi gruppi, privati e pubblici, a fronte di un sensibile aumento degli attacchi hacker. Basta guardare i casi recenti: i pirati informatici hanno preso di mira, mandando in tilt il sito per diversi giorni, il gestore della rete elettrica Gse; hanno attaccato i sistemi di Eni; e in Ucraina – con conseguenze in tutta l’Ue – il sistema satellitare Viasat. A volte gli attacchi sono finalizzati a chiedere riscatti per “liberare” i dati e le informazioni catturate. Da quando è iniziata l’invasione russa in Ucraina, la guerra digitale è diventata un’arma offensiva. «Dall’inizio del conflitto si è osservata una crescita consistente degli attacchi hacker non solo verso l’Ucraina, ma anche verso altri paesi europei, inclusa l’Italia» conferma Giorgio Mosca, coordinatore del tavolo di lavoro Cybersecurity di Confindustria Digitale. «La minaccia ibrida ha preso il sopravvento sulla guerra fisica e io continuo a ritenere preoccupante tutto quello che si muove nello spazio cibernetico» dice il prefetto Franco Gabrielli, l'uomo scelto dal governo per vigilare sulla sicurezza cibernetica del Paese. L’agenzia nazionale, istituita a metà dello scorso anno, sta iniziando i primi passi. Nel frattempo i grandi gruppi privati prevedono budget sempre maggiori per proteggere i propri sistemi informatici, prevenire gli attacchi e, nel caso, ripristinare più velocemente la funzionalità della propria rete. E le aziende specializzate prosperano: nel 2021 il mercato della cybersecurity ha toccato 1,55 miliardi, +13% rispetto al 2020. I dati sul 2022 ancora non sono noti, ma le prospettive sono da exploit. Insomma, nella stagione dei razionamenti energetici non tutti piangono.

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