Leonardo-Fincantieri: tanti ostacoli alla fusione ma la alleanza è strategica

Leonardo-Fincantieri: tanti ostacoli alla fusione ma la alleanza è strategica
di Pietro Romano
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Mercoledì 6 Luglio 2022, 12:12 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 17:16

Un gruppo da oltre 21 miliardi di ricavi al 31 dicembre scorso, con un portafoglio ordini di quasi 72 miliardi, poco meno di 71mila dipendenti, posizioni di eccellenza anche all’estero e in particolare tra Regno Unito e Stati Uniti d’America, attivo in settori ad alto valore aggiunto e a spiccata tecnologia.

Un gruppo, insomma, che si posizionerebbe saldamente tra i primi dieci leader mondiali dell’aerospazio-difesa e dei sistemi di difesa. Si presenterebbe così il colosso nato dall’eventuale fusione tra Leonardo, l’ex Finmeccanica, e Fincantieri. Un’ipotesi tornata alla luce nel dibattito politico.

I PROTAGONISTI

A riaprire il dossier è stato il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che qualche settimana fa ha invitato a pensare a «un polo militare italiano». Ma a lanciare la proposta, qualche anno fa, era stato Matteo Renzi. L’ipotesi da subito non era piaciuta all’amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo, né all’allora numero uno di Fincantieri, Giuseppe Bono, che pure in tanti avevano previsto favorevole avendola perorata quando si trattava di tornare sulla tolda di Fincantieri che aveva lasciato anni prima a Pier Francesco Guarguaglini. In realtà, proprio ai tempi di Guarguaglini e Bono si era pensato alla scissione/fusione dei due gruppi a controllo pubblico con la nascita di una Fin-militare e di una Fin-civile. Tale eventualità era poi stata definitivamente accantonata quando Mauro Moretti quale amministratore delegato di Finmeccanica (da lui ribattezzata Leonardo) aveva venduto il polo ferroviario, il cui risanamento negli anni precedenti era costato almeno 1 miliardo. Renzi aveva perciò in parte ripreso il progetto, ma come si è visto senza fortuna. Ora ci riprova Giorgetti, che ha come alleati la sottosegretaria alla Difesa, Stefania Pucciarelli, e soprattutto la senatrice Roberta Pinotti, già ministra e “donna forte” del Pd nel settore difesa e sicurezza. Più tiepidi, ma non dichiaratamente contrari, sembrano essere l’attuale titolare della Difesa, Lorenzo Guerini, e il collega ministro delle Finanze, Daniele Franco.

LE POSIZIONI

Il fatto è che il management di Leonardo non pare avere sostanzialmente cambiato idea rispetto a qualche anno fa. Profumo ha infatti confermato la sua posizione di scetticismo. In sostanza, secondo lui l’aggregazione non è all’ordine del giorno perché non ci sono sinergie significative. A piazza Monte Grappa, dove ha sede il cervello di Leonardo, si solleva anche il problema della forte presenza civile nelle attività di Fincantieri. Da un lato, infatti, il settore difesa e sicurezza è largamente preponderante nei ricavi e nel portafoglio ordini di Leonardo, dall’altro vale poco più del 30 per cento di Fincantieri, benché tale quota pare destinata a crescere e superare il 40 per cento. In Fincantieri la situazione in questo momento è diversa dai tempi della “proposta Renzi”. Da poco è arrivato alla guida il nuovo amministratore delegato, Pierroberto Folgiero, affiancato dal generale Claudio Graziano nel ruolo di presidente.

Va tenuto conto di questo cambiamento, che ha visto l’uscita di Bono dal vertice della società dopo vent’anni esatti. Folgiero si sta guardando attorno spostandosi di continuo fra Trieste, Roma e i numerosi cantieri, tra le due onde del business, come le ha efficacemente definite, vale a dire il civile (soprattutto crocieristico, dove Fincantieri è oggettivamente leader mondiale) e il sempre più importante, e proficuo, settore militare. Per ora Folgiero starebbe ancora valutando gli eventuali vantaggi industriali e sinergici della fusione. Se, come pare, mira a trasformare sempre più i prodotti del gruppo in “prodotti integrati”, le basi per un dialogo con Leonardo ci sono tutte.

PESANTI ATTRITI

In verità il dialogo non è mai venuto meno tra i due gruppi, anche se pesanti attriti di tanto in tanto non sono mancati. Né è venuta meno la collaborazione, come dimostra l’alleanza (di grande successo ed esemplare anche per altre future operazioni) in Orizzonti Sistemi Navali, che vede Fincantieri al 51 per cento e Leonardo al 49 per cento, un integratore di sistema di importanti programmi di fregate, unità anfibie, cacciamine di provato successo anche internazionale. Ma un conto è un patto finalizzato a una singola operazione; ben altre complessità rivelerebbe invece una integrazione effettiva tra i due gruppi. Del resto, nemmeno a livello societario la fusione appare come una passeggiata. È vero che Leonardo e Fincantieri sono entrambe a controllo pubblico, ma entrambe sono quotate in Borsa. Per Fincantieri non ci sarebbero problemi, considerato che per il 71 per cento è nel portafoglio di Cassa depositi e prestiti. Non lo stesso vale per Leonardo: il Tesoro ne detiene il 32 per cento, una quota che potrebbe essere non sufficiente ad aggregare in una assemblea straordinaria la maggioranza dei voti.

VOCI PESSIMISTE

Dal mondo della finanza nel frattempo si sono alzate molte voci pessimiste. Equita Sim, Exane, WebSim, Kepler Cheuvreux, Fidentis a Banca Akros valutano l’operazione negativamente gettando le premesse per un voto negativo anche da parte del mercato e soprattutto da parte dei numerosi fondi internazionali che detengono una quota dell’una e dell’altra società. Fusione o meno, però, nessun esperto di difesa e sicurezza nega l’importanza di un polo strategico nazionale della difesa, come lo ha definito Giorgetti. Più che per evitare di farsi la concorrenza sui mercati mondiali, che talvolta si è dimostrata di successo, per presentarsi con prodotti, pacchetti, soluzioni nazionali. Un’alleanza insomma che ricordi Orizzonti Sistemi Navali allargata a una gamma più vasta di offerte, non solo navali. Un’alleanza che riesca a coinvolgere con i giganti Leonardo e Fincantieri anche altre delle tantissime imprese del settore: da Elettronica a MaGroup, da Iveco Defence Vehicles a Tecnam, da Piaggio Aerospace a Intermarine, dai cantieri Vittoria a tutto il polo armiero, soprattutto lombardo.

IL MODELLO FRANCESE

Il sistema Paese deve collaborare in maniera organica e questo è più importante di qualsiasi operazione societaria. Il modello francese, che ha condotto a un boom delle esportazioni pur con diverse società in lizza, prevede prima di tutto un appoggio governativo e politico corale. Poi un ruolo dei militari importante e non pregiudiziale. Quindi banche che si limitino a rispettare le rigorose leggi italiane che regolano il settore della difesa e della sicurezza senza vessare le industrie. Infine un’offerta che possa guardare a tutto il mondo e presenti a eventuali clienti prodotti non solo tecnologicamente avanzatissimi ma anche di fascia media, appetibili quindi pure al di fuori di Europa e Paesi del Golfo Persico. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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