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Irpef alla tedesca per alleggerire il peso su lavoro e redditi medi: il modello allo studio del governo

Getty Images
Articolo riservato agli abbonati
3 Febbraio 2021 di Luca Cifoni (Lettura 5 minuti)
  • 6
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Quanta parte del reddito lordo aggiuntivo riesce a mettersi in tasca un lavoratore che riceve un aumento di stipendio o decide di fare degli straordinari? E quanto invece va allo Stato sotto forma di imposte e contributi? Anche questo è un criterio per giudicare un sistema fiscale: anzi, come spiegano molti economisti, è un criterio a cui guardare con attenzione perché la tassazione può avere un ruolo importante nell’incoraggiare o scoraggiare la scelta di lavorare di più e in generale il lavoro stesso. Vista sotto questo profilo la nostra Irpef (che per il lavoratore dipendente è la principale componente del cosiddetto “cuneo fiscale e contributivo”) si presenta in modo piuttosto anomalo: non solo l’imposta è alta, ma colpisce in modo piuttosto erratico gli incrementi di reddito. Quella che in gergo tecnico si chiama “aliquota marginale effettiva” (si veda il riquadro in questa pagina) procede infatti a sbalzi arrivando al 60 per cento nella fascia di reddito che va dai 35 mila a 40 mila euro l’anno.

IL DISINCENTIVO

Questo vuol dire che su un eventuale incremento retributivo di 1.000 euro (ipotizzando che già siano stati dedotti i contributi sociali) la sola Irpef ne assorbirebbe circa 600, senza contare l’effetto delle addizionali locali: nelle tasche dell’interessato resterebbe quindi meno della metà dell’importo originario. Insomma una sorta di disincentivo a guadagnare di più che – paradossalmente – è l’effetto della positiva novità scattata dal luglio scorso per i lavoratori dipendenti: quella “ulteriore detrazione” introdotta per alleggerire il carico in particolare su chi ha un reddito fino a 40 mila euro. Siccome l’importo del beneficio decresce piuttosto rapidamente, ecco che all’aumentare dello stipendio la tassazione sale a sua volta in modo brusco. Il problema in realtà si pone da tempo e riguarda – pur se in forma meno acuta – l’intera struttura dell’Irpef. Anche per questo tra le ipotesi al centro dell’attenzione, in vista della riforma fiscale programmata per quest’anno, c’è anche una revisione complessiva dell’imposta che guarda ad un esempio leggermente diverso: l’ormai famoso modello tedesco.

La particolarità dell’Einkommensteuer sta nel fatto che non è articolata, come quella di altri Paesi tra cui l’Italia, in scaglioni e aliquote “secche”, ma si calcola invece in base ad una serie di formule che fanno crescere in modo estremamente graduale – al crescere del reddito – sia l’ammontare dell’imposta sia l’aliquota marginale effettiva. Applichiamo allora questo sistema a un lavoratore dipendente con reddito annuo di 35 mila euro: con le regole italiane e in assenza di altre detrazioni dovrebbe versare 7.936 euro, con quelle tedesche (includendo la deduzione standard di 1.000 euro per i dipendenti) 6.338, ben 1.600 in meno. E l’ingombrante aliquota marginale del 61 per cento che abbiamo già visto risulterebbe praticamente dimezzata al 32, lasciando margini più ragionevoli per incrementi di reddito. Il confronto meccanico tra Italia e Germania può in parte essere fuorviante, anche perché il livello medio delle retribuzioni tedesche è sensibilmente più alto; ma la differenza salta all’occhio comunque. E si mantiene visibile in termini di aliquota media fino a livelli decisamente alti di reddito: anche con un imponibile di 100 mila euro l’Irpef netta resta più alta di quasi 2 mila euro dell’imposta calcolata con le regole tedesche. Se invece guardiamo all’aliquota marginale, quella dell’Einkommensteuer diventa più elevata (superando il 41 per cento) intorno a quota 57 mila euro.

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LA VIA PRESCELTA

Proviamo quindi a riassumere: una struttura dell’Irpef simile a quella applicata in Germania comporterebbe almeno sulla carta un prelievo più contenuto per i redditi medi e anche medio-alti, mentre per quelli nominalmente più bassi (fino a 25 mila euro circa) il livello della tassazione è già sostanzialmente analogo, anche grazie alla presenza nella normativa italiana del bonus 80 euro, ora cresciuto a 100. Inoltre, in virtù di aliquote marginali che crescono in modo “dolce” e senza salti bruschi, il sistema risulterebbe molto meno penalizzante nei confronti di coloro che avendo una retribuzione fino a 50-55 mila cercano di incrementarla: ad esempio lavorando di più. Naturalmente anche se questa fosse la via prescelta dal governo che verrà, il passaggio al modello tedesco non potrebbe non tener conto dell’attuale struttura dell’Irpef e quindi della necessità di ridurre il prelievo su determinate fasce senza inasprirlo però su altre. La curva Irpef andrà rivista nel suo complesso, anche per evitare effetti collaterali indesiderati: appunto come quelli derivanti dal recente taglio del cuneo fiscale, che ha indubbiamente premiato i redditi tra 28 e 40 mila euro al prezzo però di “incastrarli” in aliquote marginali sfavorevoli. Alla fine quindi molto dipenderà, oltre che dal design della nuova imposta, dagli spazi di bilancio disponibili; ovvero dalla quantità effettiva di gettito a cui lo Stato potrà rinunciare sui circa 190 miliardi garantiti annualmente dall’Irpef.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LA SCHEDA

L'aliquota media e quella marginale - Come si misura l'incidenza dell'imposta sul reddito

Sono due i parametri essenziali per valutare l’impatto di un’imposta sul reddito personale. L’aliquota media è data dall’incidenza percentuale dell’imposta pagata rispetto al reddito. Ad esempio in Italia un lavoratore dipendente con un imponibile annuo di 30 mila euro paga il 23% sui primi 15 mila, il 27% sui successivi 13 mila e il 38% sugli ultimi 2 mila. Ma mettendo nel conto anche la detrazione per lavoro dipendente e la recente “ulteriore detrazione” verserà 5.683 euro, ovvero quasi il 18,9% del reddito: questa è l’aliquota media. L’aliquota marginale effettiva corrisponde invece al prelievo applicato su una eventuale quota aggiuntiva di reddito: nel caso del nostro lavoratore non equivale all’aliquota più alta (il 38%) perché - ad esempio - 1.000 euro guadagnati in più ne costano 380 di imposta e circa 70 di minori detrazioni: il totale fa 450, ovvero un’aliquota marginale del 45%.

Ultimo aggiornamento: 4 Febbraio, 11:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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