Qualcuno la paragona a qualcosa di simile a un ircocervo, l’animale mitologico che ispirò la celebre definizione di Mediobanca proposta da Enrico Cuccia. Secondo altri, Cassa depositi e prestiti potrebbe invece somigliare a una combinazione tra Iri e Gepi. Un accostamento che però il suo amministratore delegato Fabrizio Palermo, al timone da luglio 2018 e fautore di una rapida e profonda trasformazione della Cassa, rifiuta con ragione. La Cdp odierna è infatti assai lontana a quei modelli partecipativi che tanto sono costati agli italiani; somiglia più a una macchina con motore pubblico e andatura da privato che penetra nei territori in cerca di attività imprenditoriali da lanciare o rilanciare. Un portafoglio gonfio di partecipazioni strategiche che producono profitti (Eni, Poste, Italgas, Snam, Terna, Tim, Saipem, Fintecna e Fincantieri etc), oltre a quote rilevanti di infrastrutture finanziarie come Borsa Italiana o Nexi, Cdp è ormai più simile a un fondo sovrano che ad altro. E se il Parlamento in questa fine d’anno approvasse, come probabile, il decreto di costituzione di Patrimonio Rilancio (detto anche il “bazooka” di Cdp) con una dote da 44 miliardi, la metamorfosi di Cassa sarebbe completa. Con in più il vantaggio che la sua contabilità non rientra in Eurostat e quindi nel debito pubblico-monstre italiano: ciò è un gran vantaggio per chi deve fare investimenti a debito. Il bazooka servirà da sostegno e rilancio per le imprese medio-grandi che abbiano alcuni requisiti: più di 50 milioni di ricavi, sede in Italia, con possibilità di ricomprendere quelle dove lo Stato ha il 10%, e non rivestano natura finanziaria, bancaria, assicurativa. Per essere ammissibili, inoltre, le imprese devono essere considerate strategiche per l’economia e per il lavoro. Sono dieci i settori strategici: difesa, sicurezza, infrastrutture, trasporti, comunicazione, energia, ricerca, innovazione ad alto contenuto tech, turistico-alberghiero, agroalimentare e distribuzione, gestione di beni culturali e artistici.
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GLI STRUMENTI
Restano fuori, però, le imprese che al 31 dicembre 2019 risultavano già in difficoltà.
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