Economia: Germania debole? Per l'Italia non è una bella notizia. Ecco perché

Il Pil tricolore che aumenta più degli altri non deve indurre il Paese a sedere sugli allori

Economia: Germania debole? Per l'Italia non è una bella notizia. Ecco perché
di Paolo Balduzzi
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Mercoledì 7 Giugno 2023, 10:48 - Ultimo aggiornamento: 8 Giugno, 07:48

C'è qualcosa di atavico nel modo in cui leggiamo le classifiche. A volte, addirittura, riusciamo a trasformare in classifica anche un semplice elenco.

Probabilmente ciò è dovuto a un certo spirito competitivo, innato nell’uomo, che lo porta a misurarsi col prossimo. Questo vale per gli individui, ma vale anche per le nazioni. In campo politico, è infatti facile accorgersi di tale meccanismo ogni volta che la Commissione Ue, un governo o un ente di ricerca, più o meno affidabile, rilascia previsioni sulla crescita economica dei Paesi. L’Italia, per decenni fanalino di coda di queste stime, sembra ultimamente cavarsela meglio di altri Stati che, al contrario, in passato avevano fatto della crescita economica costante quasi un marchio di fabbrica. Eccoci così a gioire, giustamente, per una crescita del prodotto interno lordo superiore alle aspettative; e poi, in senso relativo, anche perché questa crescita risulta essere superiore a quella delle due principali economie dell’Unione europea, vale a dire Francia e Germania. Almeno questo dicono i numeri più recenti dell’Istat: dopo il rallentamento di fine 2022, nei primi tre mesi dell’anno l’Italia è cresciuta dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e dell’1,9% sul primo trimestre dell’anno passato. In entrambi i casi, questi dati segnano un aumento dello 0,1% rispetto alle previsioni. Non solo: la cosiddetta “crescita acquisita” per il 2023, vale a dire il tasso di crescita nell’anno se l’Italia dovesse smettere di crescere, è positiva e pari allo 0,9%.

DIETRO ALLA LAVAGNA

 Come si comportano gli atri Paesi? Rispetto al quarto trimestre del 2022, il prodotto interno lordo è aumentato dello 0,2% in Francia mentre è diminuito dello 0,3% in Germania. Si tratta, in quest’ultimo caso, del secondo calo consecutivo: un fatto che determina ufficialmente l’entrata in recessione dell’economia tedesca. Morale della favola: Roma sorride, Parigi nicchia, Berlino va dietro alla lavagna. Peraltro, quella sulla crescita economica non è l’unica buona notizia che ci ha fornito l’Istat in queste settimane: aumenta l’occupazione, specie quella femminile e quella a tempo indeterminato; diminuisce il tasso di disoccupazione, anche quello giovanile; rallenta l’inflazione e calano i prezzi alla produzione, notizia foriera di un ribasso più deciso nei prezzi al consumo (cioè, di nuovo, dell’inflazione) nelle prossime settimane.

Tutto bene, dunque? Non necessariamente. All’interno di un contesto come il mercato unico europeo, infatti, potrebbe essere un errore leggere in senso competitivo tutti questi numeri. Si tratta di un elenco, appunto: non di una classifica. E se sapere di essere cresciuti più del previsto nei primi tre mesi dell’anno fa ben sperare per il futuro, non bisogna dimenticare che un bel pezzo della produzione italiana è destinata ai mercati esteri. Il primo, per importanza (questa sì, invece, è una classifica che conta), è proprio quello tedesco. La Germania è infatti, ormai da diversi anni, il primo acquirente dei prodotti italiani e quello da cui noi acquistiamo di più: componentistica per auto, ortofrutticolo e turismo i settori che producono i maggiori valori.

I dati sulla debolezza di altri Paesi europei e, soprattutto, quelli sulla (mancata) crescita tedesca vanno quindi letti anche secondo questo punto di vista: quali saranno le conseguenze per l’Italia della recessione tedesca? Strano rapporto, il nostro, con la Germania. Da lei dipende buona parte della nostra ricchezza. E viceversa. Tuttavia, spesso i governi si accusano reciprocamente di violare le regole comunitarie per i propri interessi. L’Italia, è fin troppo noto, è accusata di avere un eccessivo rapporto tra debito pubblico e Pil. Un parametro questo, tuttavia, la cui violazione non può essere certo seriamente imputata a nessun governo dal 1992 in poi, visto che il rapporto è letteralmente esploso tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso. Al limite, e anche a ragione, ci si può accusare di lassismo nel perseguire una sua riduzione. E ciò è probabilmente stato vero nei primi anni 2000 e tra il 2013 e il 2020.

AIUTI DI STATO E SURPLUS

Anche a nord delle Alpi, però, si violano alcune regole. Oltre agli aiuti di Stato per il salvataggio delle banche di cui la Germania ha abbondantemente beneficiato rispetto all’Italia (si veda il grafico in pagina), è altrettanto esemplare il regolare surplus commerciale tedesco che ormai si conferma da esattamente vent’anni, con una tendenza crescente che ne ha portato la media triennale a essere superiore al 6% per circa un decennio. Si tratta, in questo caso, di violazione di uno dei parametri indicati dalla “Procedura per gli squilibri macroeconomici” del 2011. Nemmeno a farlo apposta, il boom si è sviluppato durante la lunga era di governo di Angela Merkel. Inutile oggi tornare a interrogarsi se si tratti di semplice colpa o vero e proprio dolo. Quello che conta è che serve rendersi conto, lungo l’asse tra Roma e Berlino, che la cooperazione vale più della competizione. La crescita e il benessere di un Paese non sono un bene privato bensì un bene pubblico, perlomeno tra partner commerciali. Forse, allora, meglio concentrarsi su come crescere insieme, invece di perdere tempo a puntarsi il dito a vicenda. E smetterla di leggere come classifiche quelle che classifiche non sono.

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