Crisi aziendali, ex Ilva, Whirlpool e le altre: i cento tavoli che scottano a caccia del cavaliere bianco

Crisi aziendali, ex Ilva, Whirlpool e le altre: i cento tavoli che scottano a caccia del cavaliere bianco
di Roberta Amoruso
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Mercoledì 3 Febbraio 2021, 13:01 - Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 15:25

Il modello potrebbe essere quello seguito per salvare la ex-Embraco di Chieri, per chiudere almeno alcuni dei 102 tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo Economico finora in capo a Stefano Patuanelli. Un tandem pubblico-privato per dare un futuro alle imprese in crisi e mettere al sicuro l’occupazione (oltre 110.000 lavoratori) che vada oltre la semplice toppa della cassa integrazione. La strada è in salita considerato il conto pesante che sarà presentato prima o poi dall’emergenza pandemica quando verranno meno, seppure gradualmente, i sostegni pubblici. Un certo numero di default, non modesto, va messo in conto. Alle spalle c’è infatti un 2020 difficile che ha seminato nuove disgrazie. La battaglia sul campo delle crisi industriali ha comunque prodotto qualche risultato: stando alle fonti del Mise, in un anno ha messo in sicurezza, almeno per ora, più di 15 aziende e 30mila lavoratori. È stato per esempio trovato un investitore per Stefanel (Ovs), è riuscita l’impresa di riportare la produzione in Italia nel caso Pernigotti; oppure, meno esaltante, si sono blindati con la Cig per cessata attività tutti i lavoratori di MercatoneUno (1.731) fino a novembre 2021: resta comunque un brutto epilogo per un marchio che sparisce e brandelli di negozi con esposto il cartello vendesi. Il punto è che le centinaia di verbali delle riunioni fiume tra tecnici del ministero, aziende e sindacati finiscono quasi sempre con la stessa, sperata, via d’uscita: l’intervento di un investitore privato, di un cavaliere bianco capace di salvare il salvabile. D’altro canto, una crisi così profonda e un clima di incertezza così diffuso non sono gli ingredienti migliori per attrarre capitali, soprattutto se domestici. Anzi, semmai è più facile lasciare il campo, come hanno scelto di fare i cinesi di Wanbao, o decidere di trasferire il 70% della produzione in Ungheria, come è nelle intenzioni di Sematic: la crisi Covid è infatti un’ottima scusa per chiudere definitivamente gli stabilimenti.

LA SPONDA DI INVITALIA

Eppure la caccia è partita su più fronti.

Si cercano investitori per Goldoni, il sito della cloro-soda dell’Eni a Marchiareddu in Sardegna; o per la Semitec (servizi tlc); o per Ami-Acque minerali d’Italia, che potrebbe essere salvata dal Fondo Clessidra. Per le Officine Maccaferri è arrivata l’offerta in asta a fine dicembre di un gruppo di fondi guidato da Carlyle; per la Meridbulloni di Castellammare di Stabia si è fatto avanti il gruppo Vescovini; mentre si fanno i conti ancora con l’affare Ilva-ArcelorMittal, o con il dossier Whirlpool. E si aspetta di raccogliere i frutti di pratiche considerate chiuse come Stefanel, appunto, o Corneliani, per la quale è scesa in campo BasicNet. O per Italcomp. Pratiche che ora rischiano di rallentare pesantemente vista la crisi di governo. Le ambizioni del Conte bis (ormai ex) erano che nuovi investitori, italiani ed esteri, trovassero la spinta necessaria per farsi avanti nel Fondo di gestione per le crisi di impresa, ma per il momento non se ne ha notizia. In ogni caso, il nuovo strumento di Invitalia capace di portare lo Stato con una quota di minoranza in un’azienda con oltre 250 dipendenti, che custodisca marchi made in Italy o attività strategiche e in difficoltà economiche, alla quale possano bastare 10 milioni di euro per proseguire l’attività e salvare l’occupazione, ora è operativo. Il via libera ufficiale alle domande per accedervi (300 milioni la dotazione iniziale, più altri 250 milioni nel 2021) è scattato il 2 febbraio. Ma potrebbe non bastare. E dunque, a che punto sono le 102 pratiche aperte al Mise a cui si aggiungono almeno una ventina in via di risoluzione?

GLI ULTIMI TRAGUARDI

Sono circa 70 i tavoli aperti da più di tre anni e 28 quelli che impegnano il Mise da oltre sette. Fra quelli chiusi sotto la regia del sottosegretario Alessandra Todde proprio nelle ultime settimane, figurano la Dema (700 dipendenti), grazie all’accordo con l’Inps per la rateizzazione del debito e al supporto di Invitalia attraverso i Contratti di sviluppo; quindi Whirlpool Teverola, con la creazione di un polo delle batteria al litio da 675 persone di cui 175 ex dipendenti della multinazionale; infine la Sicamb. Tra i dossier roventi che si stavano seguendo prima dello stop imposto dalla crisi di governo, rimane invece quello della Italcomp, il nuovo polo italiano dei compressori nato dall’ex Embraco di Chieri (società in fallimento con oltre 400 addetti in Cig) e l’ACC di Mel a Belluno, che occupa oltre 300 addetti. In questo secondo caso, l’idea consiste in un piano industriale pubblico-privato da 50 milioni che sembrava potesse inciampare nell’ok Ue; senonché proprio in questi giorni si è deciso di sbloccare un finanziamento di 12 milioni con garanzia Sace. Su un percorso simile si muove la Sicamb (290 dipendenti), la storica azienda aeronautica di Latina in cui entra anche il fondo di Singapore St Engineering Aerospace. E sempre con l’intervento del Fondo di Invitalia dovrebbe risolversi il rilancio della storica azienda tessile mantovana Corneliani grazie al piano industriale atteso da Marco Boglione: per il 5 febbraio, data prevista per il cda, la società dovrebbe riuscire a garantire l’immissione di liquidità necessaria per evitare il blocco della produzione in attesa che sia formalizzata la manifestazione di interesse per l’acquisto di una quota azionaria da parte di BasicNet. Boglione ha tre mesi di tempo, fino al 15 aprile, per decidere se rilevare il gruppo, secondo quanto concesso dal Tribunale di Mantova.

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MISSIONI IMPOSSIBILI O QUASI

Vanno poi considerati due campi di battaglia importanti, quale il complesso caso Whirlpool di Napoli, circa 330 lavoratori per i quali la multinazionale americana intende avviare la procedura di licenziamento dall’1 aprile prossimo, e la vicenda Treofan di Terni. In questo secondo caso, di fronte alla mossa degli indiani di Jindal, dovrebbe essere la Cig per 9 mesi a coprire i 147 lavoratori fino alla vendita gestita dal Mise. Un passaggio non facile visto che gli indiani puntavano a non vendere lo stabilimento per evitare la minaccia della concorrenza. Rimangono poi sul tavolo vertenze pesanti come quella con Jsw sulla riconversione industriale dello stabilimento siderurgico di Piombino, 1.600 i dipendenti da salvaguardare. Inoltre prosegue, sebbene di difficile gestione, il tavolo su Jabil di Marcianise, 130 i lavoratori a rischio. Nulla ancora di concreto anche per la Goldoni e per gli oltre 200 lavoratori dopo la richiesta improvvisa, a settembre scorso, di concordato liquidatorio da parte della proprietà cinese Lovol a soli 5 anni dall’acquisizione. Richiesta poi messa in discussione dall’annuncio, il 6 gennaio scorso, dell’acquisizione da parte di Weichai Holding Group, il colosso pubblico cinese della meccanica (lo stesso che ha acquistato e rilanciato Ferretti Yacht), del 60% proprio della cinese Lovol. A questo punto pare che ci sia il via libera al rilascio del marchio da parte della società dello Shandong che può sbloccare la vendita dell’azienda produttrice di macchine agricole di Migliarina di Carpi, in provincia di Modena. Il Mise ha in corso contatti anche con un altro potenziale compratore: il gruppo belga Keestrack, che costruisce macchine stradali e non trattori ma ha già uno stabilimento in Italia, a Ponzano Veneto. Anche i 150 dipendenti della Betafence attendono certezze, al momento di là da venire. ILVA & COMPAGNI Intanto l’accordo tra Invitalia e ArcelorMittal per l’ingresso dello Stato nel capitale della multinazionale che gestisce gli impianti siderurgici di Taranto, ha fatto migrare il dossier dal tavolo di crisi a quello di monitoraggio sull’attuazione del piano industriale e sul necessario accordo con i sindacati, compresa l’integrazione dei 1.700 lavoratori in Cig. Infine, il 2021 sarà anche l’anno dell’ennesima sfida sul fronte Alitalia: non è un capitolo di pertinenza del Mise, fa capo al Tesoro , ma è una crisi aziendale del Paese. Ed è probabilmente la più costosa. 

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