Aumento dei prezzi, se i grandi debitori fanno festa con l'inflazione alta

Effetti deleteri su redditi e patrimoni ma nel caso dello Stato riduce il peso dei prestiti sul Pil

Aumento dei prezzi, se i grandi debitori fanno festa con l'inflazione alta
di Luca Cifoni
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Mercoledì 7 Giugno 2023, 10:59 - Ultimo aggiornamento: 8 Giugno, 07:45

L'inflazione sta davvero ripiegando, dopo il calo di gas e petrolio nei mesi scorsi? Oppure potrebbe rialzare la testa?

Sono le domande che quasi tutti si fanno, non solo in Italia. Ma se l’aumento dei prezzi ha effetti deleteri su redditi e patrimoni, e alla fine anche sulla stabilità sociale penalizzando in particolare le fasce più svantaggiate, può essere un fenomeno almeno in parte positivo per i grandi debitori. Categoria nella quale rientra a pieno titolo lo Stato italiano. In termini molto approssimativi, il concetto è semplice: l’aumento dei prezzi fa diventare meno rilevante l’importo di un debito che resta fermo al suo valore originale. In realtà le cose sono un po’ più complicate. Concentrandoci in particolare sul debito pubblico, quello che conta è il suo rapporto con il prodotto interno lordo del Paese. Se il Pil cresce più del debito stesso, il rapporto si riduce e dunque il “fardello” risulta in prospettiva più sostenibile. Per capire meglio, è utile qualche precisazione. Quando parliamo di incremento del Pil, ci riferiamo a quello nominale, che comprende sia l’effetto della crescita economica vera e propria sia quello della variazione dei prezzi. Ma attenzione: la variazione è misurata non dall’indice dei prezzi al consumo, ma dal deflatore del Pil. La differenza è importante, perché nel primo caso l’inflazione è quella complessiva sperimentata dai cittadini, nel secondo solo quella interna, che esclude ad esempio gli aumenti energetici “importati” dai Paesi in cui si producono le materie prime.

LA RICADUTA

Quindi in che modo, esattamente, l’inflazione influisce sul rapporto debito/Pil? Gli economisti parlano di effetto “palla di neve” (snowball). Se il costo medio del debito, dato dagli interessi, supera la crescita del Pil nominale, allora il rapporto tra debito e Pil aumenta anche quando il debito in quanto tale resta invariato. In altre parole, si ingrossa proprio come una palla di neve che rotola. Se invece succede il contrario, allora a parità di altre condizioni il rapporto si riduce. Grosso modo è quello che è successo nel 2021 e nel 2022; e in particolare lo scorso anno, caratterizzato da una forte inflazione. L’incremento del prodotto nominale è risultato superiore all’incidenza degli interessi sul debito e ha assorbito anche il deficit primario dell’anno. Così il rapporto debito/Pil è sceso dal 154,9 per cento del 2020 al 149,9 e poi al 144,4 del 2022. L’inflazione però si fa sentire non solo sulla dinamica del prodotto, ma anche su quella del debito. Ciò accade perché una quota di titoli pubblici (crescente negli ultimi anni) è indicizzata proprio all’andamento dei prezzi; nel caso specifico di quelli al consumo. Quindi, quando questi aumentano, aumenta anche il costo degli interessi, al di là delle oscillazioni dei tassi di mercato. I due fattori, crescita nominale del Pil e peso dei titoli indicizzati, agiscono dunque in senso contrario.

Nelle previsioni formulate dal ministero dell’Economia in occasione del recente Documento di economia e finanza, la tendenza alla riduzione del rapporto debito/Pil è destinata a proseguire, pur se a un ritmo più lento. E questo nonostante il fatto che il saldo primario sia atteso ancora negativo almeno per il 2023. Più precisamente, il Mef stima che «la crescita economica prevista, unitamente all’aumento dei prezzi, legato alla componente di fondo dell’inflazione, continueranno a sostenere il contributo della componente snow-ball alla discesa del rapporto debito/Pil più che compensando, fino al 2025, la componente di spesa per interessi». È interessante il riferimento all’inflazione di fondo, ovvero quella depurata da prodotti energetici e alimentari freschi: a spingere i prezzi non saranno più i rincari di carburanti e bollette. Insomma: l’inflazione può essere in astratto una buona notizia per un Paese fortemente indebitato. Almeno dal punto di vista contabile. Non lo è invece, naturalmente, per molti altri motivi.

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