La stretta di Pechino: meno capitali esteri e controllo sui dati web

La stretta di Pechino: meno capitali esteri e controllo sui dati web
di Roberta Amoruso
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Mercoledì 8 Settembre 2021, 13:00 - Ultimo aggiornamento: 10 Settembre, 15:51

Kuaishou Technology è stata la più grande Ipo tech dai tempi di Uber. Ma a pochi mesi dal suo debutto, avvenuto a febbraio, è più conosciuta alle cronache come il più grande crash consumato in pochi mesi, proprio nel promettente anno del Bufalo cinese. È solo uno degli effetti, quello più evidente, di un fenomeno in corso che gli esperti anno definito «la distruzione creativa» del governo di Pechino. Un attacco all’impero tecnologico cinese da 4 trilioni di dollari, già costato alle quotazioni dei big circa 1 trilione di dollari. L’affondo contro le piattaforme web - oltre 50 le azioni regolatorie messe in campo - è entrato nel vivo a marzo. Il presidente Xi Jinping ha ordinato alle autorità di regolamentazione di intensificare la supervisione delle società di Internet e reprimere i monopoli perseguendo il miglioramento della sicurezza e introducendo un più rigido controllo sulle attività finanziarie. Insomma, nulla deve sfuggire all’occhio dello Stato che ha così riportato all’”ordine naturale”, convocando personalmente i loro fondatori, le principali big tech cinesi: Alibaba, il colosso di Jack Ma che controlla Ant (stoppata proprio mentre stava per andare in Borsa) e vanta una partecipazione importante in Weibo (il Twitter cinese), Tencent, ByteDance cui fa capo Tik Tok, il produttore di smartphone Xiaomi e l’app per brevi video Kuaishou Technology, rivale di Tik Tok. La versione ufficiale sull’incontro è che si è discusso di sicurezza online; l’effetto concreto è l’inizio di un tracollo per i titoli tecnologici cinesi che non ha ancora trovato il fondo.

LA STORIA

Eppure la storia sembrava essere tutt’altra per Kuaishou. La prefazione diceva altro. L’operatore del servizio di video brevi più popolare in Cina dopo Douyin (Tik Tok) è stato fondato nel 2013 da Su Hua, 38 anni, ex dirigente di Google China e Baidu, e un patrimonio di 4 miliardi di dollari secondo la classifica 2020 di Forbes sui miliardari cinesi. Cofondatore è Cheng Yixiao, 37 anni, ex Hewlett-Packard, già a inizio anno un patrimonio stimato in 3 miliardi di dollari. Anche loro hanno pagato la doccia fredda arrivata da Pechino, dopo aver scalato la classifica dei miliardari in pochi giorni a febbraio grazie alle quote arrivate a un valore di 19 e 15 miliardi, rispettivamente per l’11% e il 9%.

Stesso destino per l’azionista Tencent Holding, con il suo 17,7%. La società che aveva raccolto 5,4 miliardi di dollari nella sua offerta pubblica era arrivata a un valore di 160 miliardi, crescendo in soli 7 giorni di scambi dal prezzo dell’Ipo di 115 dollari di Hong Kong fino a quadruplicarne la capitalizzazione. Ora vale l’80% in meno. E sta completando la rimozione di un’app dalla propria piattaforma chiamata Zynn. Lo sta facendo senza fornire spiegazioni agli utenti, esattamente come molte altre piattaforme in Cina recentemente obbligate a rimuovere contenuti e informazioni. Tutto in virtù del diktat del governo della Repubblica Popolare sui contenuti fruibili via web. In gioco c’è il controllo sull’enorme volume di dati da utilizzare per governare il Paese, per spingere l’economia, ma anche per “ordinare” la vita dei cinesi sempre più assorbita dall’utilizzo dei social network e dei video di intrattenimento. La crescita fulminea negli ultimi due anni dei giganti del web ha di fatto umiliato il consolidato potere di controllo di Pechino, dopo che lo stesso Xi Jinping ne aveva sostenuto l’espansione.

I NUMERI

Ecco perché agire in fretta è la priorità per il presidente cinese. Soprattutto perché recuperare subito il potere sfuggito significa non cedere alle minacce di avanzate degli Usa, sempre a colpi di dati. Del resto è nei numeri il nuovo potere in mano ai big tech. Gli utenti cinesi che utilizzano internet da mobile hanno trascorso in media 4,35 ore online ogni giorno nel 2019, contro le 2,90 del 2015. Si prevede che ne trascorreranno 5,73 entro il 2025. Più in generale, nel 2019 circa il 29% di quel tempo è stato speso proprio su piattaforme social e di intrattenimento basate su video. Una quota che raggiungerà il 36% entro il 2025. L’operazione a tenaglia decisa da Xi, ancora da definire in tutti i suoi tasselli, non fissa paletti solo su antitrust e monopoli, o privacy e dati sensibili. È stata anche promossa la rimozione di alcuni vantaggi fiscali per le società di gaming ritenute estremamente redditizie. E c’è lo stop alla raccolta fondi su mercati esteri per le aziende che gestiscono dati sensibili, con tanto di controlli da parte della Cybersecurity Authority of China (CAC), destinato a frenare le ambizioni e quindi le quotazioni dei big tech cinesi. Potrebbe essere solo un modo per dirottare le quotazioni sui mercati finanziari cinesi, come sostiene qualcuno. Per i più è una manovra più ampia per costruire davvero la “autosufficienza” del Dragone, dopo le debolezze emerse con il Covid. Per il momento ha avuto l’effetto di far crollare le quotazioni dei big cinesi. Ma si preannuncia un’arma appuntita nella nuova battaglia con gli Usa

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