Frana Casamicciola, milioni di italiani vivono in aree a pericolosità elevata. E i danni superano i 90 miliardi

Un'immagine dell'alluvione di settembre nelle Marche
di Alessandra Camilletti
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Mercoledì 5 Ottobre 2022, 13:16 - Ultimo aggiornamento: 30 Marzo, 16:27

La conta parte dal 1980. Da lì, in quarant’anni, fino al 2020, si calcola che i danni economici per disastri naturali da condizioni meteo avverse in Italia ammontino a 90,1 miliardi di euro. È il terzo valore più alto nell’Unione europea dopo quelli di Germania (107,6 miliardi) e Francia (99 miliardi). Sono 1.556 euro pro capite, il 37,7% oltre la media dell’Unione (1.133 euro): valore che pone l’Italia sempre al terzo posto, ma dietro Slovenia (1.870 euro) e ancora Francia (1.606). Si calcola che nell’Unione gli eventi meteorologici estremi siano per tre quarti idrologici: inondazioni, smottamenti (43%) e temporali (34%), spesso combinati tra loro. In Italia, l’ultimo caso è l’alluvione delle Marche, che tra il 15 e il 16 settembre ha seminato morte e devastato interi comuni tra le province di Ancona e Pesaro Urbino. Infrastrutture pubbliche, case, imprese. A elaborare la conta dei danni è la Confartigianato su dati dell’European Environment Agency. Numeri che si combinano con quelli del livello di rischio. In Italia – riporta l’Ispra nel rapporto 2021 sul Dissesto idrogeologico – 5,7 milioni di persone vivono in aree a pericolo di frana (considerando tutte le classi di pericolosità da molto elevata ad aree di attenzione) e 12,3 milioni in zone a rischio alluvioni, tenendo conto dello scenario massimo atteso con tempi di ritorno superiori a 200 anni. È una questione di sicurezza, ma anche economica. Perché si perdono vite, su tutto, ma poi anche strade, case, aziende.

LO SCENARIO

 Si contano 1,9 milioni di edifici in aree a pericolosità di frana e 2,7 milioni in aree a rischio alluvioni. Oltre 84mila tra industrie e servizi in aree a pericolosità di frana elevata e molto elevata, oltre 225mila in zone a pericolosità elevata di alluvione. E poi ci sono i beni culturali. Il Rapporto ne conta 12.500 in aree a pericolosità elevata e molto elevata, per frane. Sono 34mila quelli a rischio alluvione (pericolosità media), quasi 50mila a rischio di scarsa probabilità di accadimento di eventi estremi. Per la loro salvaguardia «è importante valutare anche lo scenario meno probabile – scrive Ispra – tenuto conto che, in caso di evento, i danni prodotti al patrimonio culturale sarebbero inestimabili e irreversibili». E poiché secondo un’analisi 2021 sviluppata da Boston Consulting Group con il Mibact, il contributo economico dei soli musei statali vale 27 miliardi di euro, l’1,6% del Pil, ben si comprende l’ansia di una sua tutela adeguata. «Il paradosso è che per rimediare al danno si spende più di quanto sarebbe costato investire nella manutenzione del territorio. Per questo abbiamo sempre sostenuto la necessità di rafforzare gli investimenti pubblici», sottolinea Marco Granelli, presidente di Confartigianato. Quanto si potrebbe investire? Il Rapporto Rendis 2020 di Ispra spiega che dal 1999 a tutto il 2019 sono stati realizzati, per la mitigazione del rischio idrogeologico, 6.063 interventi per 6,59 miliardi (300 milioni circa l’anno in media): nel 32% dei casi per alluvioni, nel 52% per frane.

Un totale di 7.284 lotti di lavori, 3.557 ultimati al 31 dicembre 2019. Durata media: 4,8 anni. Dal 2015, Rendis raccoglie anche le richieste di finanziamento presentate al ministero dell’Ambiente dalle Regioni. Le schede al 30 ottobre 2020 erano 7.811, per 26,58 miliardi di euro. Il 54% per interventi relativi ad aree in pericolo di frana (7,4 miliardi), il 37% per aree interessate da alluvioni (14,9 miliardi, il 56% dell’ammontare): solo il 2% per il contrasto ai fenomeni da dissesto costiero. Tutto ciò merita qualche riflessione, perché il dato di 26,58 miliardi «rappresenta una stima del costo teorico per la messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale» finalizzata alla mitigazione del rischio; ma allo stesso tempo rappresenta un formidabile volano economico, in altre parole, Pil aggiuntivo.

E ora sulla gestione del rischio alluvioni e per la riduzione del rischio idrogeologico interviene anche il Pnrr con 2,49 miliardi (nell’ambito dei 15,05 miliardi della componente 4 della missione 2, Tutela del territorio e della risorsa idrica) per opere strutturali di prevenzione e, nelle aree colpite, per il ripristino di strutture e infrastrutture pubbliche danneggiate. Insomma, c’è molto che si potrebbe fare. «Basti pensare a tutti gli interventi di manutenzione ordinaria su strade e zone boschive, come contenimento e drenaggio – sottolinea il presidente di Confartigianato Granelli – o alle opere murarie, dalle spallette dei ponti ai canali di scorrimento delle acque su strada. Lavori che un tempo venivano fatti in maniera metodica e man mano, per la diversificazione delle competenze o per l’indisponibilità di risorse, si sono perdute».

INTERVENTI CALIBRATI

 Come intervenire? «Nell’ambito dell’implementazione della direttiva europea, le misure per ridurre il rischio di alluvione sono catalogate in quattro classi – sottolinea Barbara Lastoria, ingegnere idraulico dell’Ispra – Prevenzione, protezione, preparazione, ricostruzione e revisione. Gli interventi vanno poi sempre calibrati coinvolgendo popolazione e stakeholder in un’analisi costi-benefici. Se tra le misure di prevenzione ci sono quelle di vincolo del territorio, la riduzione della vulnerabilità degli elementi esposti e le misure di conoscenza applicate al contesto territoriale, ai fenomeni, ma anche allo stato delle opere di difesa, nelle misure di protezione sono inclusi interventi strutturali (vedi argini, casse di espansione) e non strutturali (rivegetazione, riforestazione, rinaturazione, manutenzione). Nella preparazione rientra l’informazione alla popolazione rispetto ai comportamenti idonei da adottare in caso di alluvione.

Le misure di ricostruzione e revisione – sottolinea Lastoria – includono ad esempio gli interventi urgenti e più in generale tutto ciò che serve per il ritorno alla normalità dopo un evento, oltre alla verifica degli interventi fatti per appurare se e in che misura sono serviti a migliorare la situazione o se sia necessario correggere il tiro». Non solo alluvioni. «In Italia ci sono oltre 620mila frane censite – sottolinea Alessandro Trigila, geologo dell’Ispra e responsabile dell’Inventario dei fenomeni franosi in Italia – Rappresentano i due terzi delle frane europee. E ogni anno ce ne sono mille che si attivano o riattivano. Di queste, circa 300 coinvolgono centri abitati, fanno vittime o coinvolgono infrastrutture primarie di comunicazioni». Come prevenire il danno? «Intanto con la pianificazione territoriale – spiega Trigila – ma fondamentale è la comunicazione con il cittadino». Non solo. «In qualche caso è possibile immaginare di spostare attività produttive o abitazioni da zone a rischio in zone non a rischio», sottolinea. Sul tavolo c’è anche il tema delle assicurazioni contro il rischio idrogeologico. Sottolinea il presidente di Confartigianato come l’opzione «sia sempre meno praticata dalle assicurazioni proprio per l’alto rischio» legato agli eventi traumatici, sempre più imprevedibili a causa del cambiamento climatico: «Dovremmo piuttosto fare in modo che i danni non si producano, investendo sulla prevenzione». Da anni – ha rilevato di recente un report di Ania, associazione nazionale fra le imprese assicuratrici – si discute di uno schema assicurativo nazionale basato su una partnership pubblico-privata per coprire i danni derivanti da alluvioni, come da terremoti. «Schemi analoghi, del resto – si sottolinea – sono operativi nella maggior parte dei Paesi europei, in quanto i danni economici non possono gravare esclusivamente sul settore pubblico, ma allo stesso tempo non sono interamente sostenibili dal privato».

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