Lire prescritte in anticipo, la Corte costituzionale boccia la norma di Monti

Lire prescritte in anticipo, la Corte costituzionale boccia la norma di Monti
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Sabato 21 Novembre 2015, 02:11 - Ultimo aggiornamento: 6 Novembre, 21:22
L'addio anticipato alla lira che fu deciso dal governo Monti è illegittimo. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale che ha bocciato il provvedimento con cui nel 2011, in deroga alla legge del 2002, si stabilì con decorrenza immediata la prescrizione anticipata delle lire ancora in circolazione a favore dell'Erario per ridurre il debito pubblico. Una misura il cui valore fu calcolato in 605 milioni di euro e si traduceva in un contributo che Bankitalia versava nelle casse del Tesoro, mentre erano stimati in oltre 1.800 i miliardi di lire che rimanevano nei cassetti degli italiani.



A sollevare la questione di legittimità costituzionale era stato nell'aprile dello scorso anno il Tribunale di Milano nel corso di un giudizio promosso da alcuni risparmiatori: affermando di avere inutilmente tentato di convertire le banconote in euro presso varie filiali di Bankitalia, questi ultimi avevano chiesto la condanna della Banca d'Italia al pagamento del controvalore delle banconote in lire in loro possesso, pari alla somma complessiva di 27.543,67 euro, oltre al risarcimento dei danni.



Dopo l'arrivo dell'euro, infatti, una legge del 2002 aveva previsto che la conversione delle lire aventi corso legale poteva avvenire, su richiesta degli interessati, fino al 28 febbraio 2012: un periodo, quindi, di dieci anni. Ma il decreto legge 201 del 6 dicembre 2011, varato dal governo Monti, ha invece disposto che «le lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell'Erario con decorrenza immediata» e «il relativo controvalore è versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere assegnato al fondo per l'ammortamento dei titoli di stato». Il decreto fu poi convertito in legge e, a partire dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della norma, le vecchie lire sono del tutto decadute.



Ora, però, la Consulta, con la sentenza depositata giovedì di cui è relatrice la giudice Daria De Pretis, ha dichiarato incostituzionale quel provvedimento. Un verdetto che riguarda tuttavia solo l'anticipo di tre mesi alla lira, mentre resta in vigore la data del 28 febbraio 2012 entro cui era possibile cambiare le lire in euro. Dunque è da escludere - come invece sostengono le associazioni dei consumatori - che da oggi chi si è dimenticato di farsi cambiare le lire possa presentarsi alla Banca d'Italia e chiedere la conversione in euro.



L'istituto centrale in ogni caso ha fatto sapere di aver avviato un attento esame delle norme, insieme al ministero dell'Economia, e solo dopo spiegherà come e per chi sarà possibile convertire le vecchie lire. Con i propri sportelli, nei 10 anni dopo aver mandato la lira in pensione, sono stati cambiati biglietti per un controvalore di 63 miliardi di euro. Ma nelle tasche e nei cassetti degli italiani, magari anche sotto qualche mattonella, sono rimaste lire per complessivi 1,2 miliardi di euro che la Banca d'Italia ha versato nelle casse dell'erario. Il versamento è avvenuto in tre tranche come previsto con una legge che è ancora in vigore e non è stata toccata dalla sentenza della Consulta.



«Subito dopo aver appreso dell'emanazione della sentenza della Corte Costituzionale - è scritto nella nota di via Nazionale - sono stati avviati gli approfondimenti necessari per definire le modalità con le quali darvi esecuzione. Le richieste di conversione saranno esaminate non appena esauriti questi approfondimenti».



La sentenza della Corte Costituzionale non fornisce una soluzione, ma si limita a cancellare la norma. E al momento tutte le opzioni sono aperte e si stanno valutando con il ministero dell'Economia. Dalla riapertura di una «finestrà per la conversione alla limitazione del cambio solo per coloro che possano dimostrare di aver cercato di cambiare i titoli durante il periodo in cui questo era ancora consentito dalle norme iniziali».



«Non è dubitabile - si legge nel provvedimento della Corte costituzionale - che il quadro normativo preesistente alla disposizione denunciata di incostituzionalità fosse tale da far sorgere nei possessori di banconote in lire la ragionevole fiducia nel mantenimento del termine fino alla sua prevista scadenza decennale». E «il fatto che, al momento dell'entrata in vigore della disposizione censurata, fossero già trascorsi nove anni e nove mesi circa dalla cessazione del corso legale della lira non è idoneo a giustificare il sacrificio della posizione di coloro che, confidando nella perdurante pendenza del termine originariamente fissato dalla legge, non avevano ancora esercitato il diritto di conversione in euro delle banconote in lire possedute». Non solo. Nemmeno la necessità sopravvenuta di ridurre il debito pubblico «può costituire adeguata giustificazione di un intervento così radicale», che «estingue ex abrupto» un diritto, senza operare un «bilanciamento fra l'interesse pubblico perseguito dal legislatore e il grave sacrificio imposto ai possessori di banconote in lire».



La Banca d'Italia, nel ricostruire la vicenda, ricorda il proprio ruolo esecutivo, delle decisioni prese dai diversi governo, nell'ambito della funzione di emissione, che prevede anche «il compito di ritirare dalla circolazione le banconote che non hanno più corso legale a seguito dell'introduzione di una nuova serie di biglietti».



Questo è accaduto anche per il passaggio dalla lira all'euro, scattato il 28 febbraio 2002, convertendo nella nuova valuta lire per un contro valore di 63 miliardi. Con l'anticipo della chiusura di queste operazioni, «la Banca d'Italia non ha più potuto effettuare, dopo il 6 dicembre 2011, le operazioni di conversione richieste». E la lira ha fatto l'ultimo regalo alle casse pubbliche: «il controvalore delle banconote in lire ancora in circolazione

(complessivamente circa 1,2 mld di euro) è stato versato al bilancio dello Stato».