Industria, da Termini Imerese alla Lucchini cinesi e indiani pronti ad investire

Industria, da Termini Imerese alla Lucchini cinesi e indiani pronti ad investire
di Roberta Amoruso
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Domenica 17 Agosto 2014, 13:58 - Ultimo aggiornamento: 20 Agosto, 12:21
Una multinazionale anglo-svizzera per Alcoa. I cinesi amici di Bmw per Termini Imerese. I franco-indiani (Arcelor) per l’Ilva. Gli indiani (Jindal) per la Lucchini di Piombino. Se tutto andr bene, saranno anche in questo caso investitori esteri, ben dotati economicamente e decisi a mettere un piede in Italia, a sbloccare alcuni dei dossier di crisi più bollenti oggi sul tavolo dello Sviluppo Economico. Tanto per confermare che andare all’estero per piazzare pezzi importanti di industria italiana in difficoltà è ormai una strada obbligata.



Lo sa bene Matteo Renzi, che nella recente missioni in Cina ma anche nei contatti con l’India, non ha certo dimenticato di sponsorizzare il made in Italy. Per fortuna, però, non è sempre così. Almeno in un caso, quello della Lucchini di Trieste, sono stati gli italiani della Arvedi, a vedere in anticipo le potenzialità dell’acciaiera acquistando la Ferriera di Servola. Si tratta di produrre banda stagnata e l’acciaio magnetico al silicio per la produzione dei motori elettrici. Un modo per portare «in Italia produzioni che oggi la nostra manifattura è costretta ad acquistare all’estero» per Giovanni Arvedi, da sempre una passione per l’acciaio. È lo stesso imprenditore di Cremona a sostenere la necessità di una rete nazionale di produttori di acciaio. Non a caso la Arvedi si candida per avere un ruolo anche nel rilancio dell’Ilva. Accanto ad altri imprenditori italiani, naturalmente. E soprattutto accanto a un gruppo minerario come Arcelor-Mittal, il colosso franco-indiano in pole position per Taranto.



GLI ALTRI CASI

Per gli stabilimenti di Trieste della Lucchini è invece in dirittura di arrivo l’accordo con il miliardario indiano Sajjan Jindal. Mentre sono rimaste indietro le proposte dell’indiana, Jspl, dell’ucraina Steel Mont e della tunisina Smc. Il gruppo Jws potrebbe a breve portare a casa il controllo della società passata dai russi della Severstal al tribunale fallimentare dopo il crac del 2012. La somma simbolica riconosciuta per il marchio potrebbe permettere agli indiani di puntare tutto sul rilancio.



Sono limitate invece a parti più piccole le altre offerte arrivate al Mise a luglio per la ex-Lucchini: Duferco Italia e Feralpi Siderurgica puntano al laminatoio di Lecco; le Acciaierie Venete alla partecipazione del 69,27% del capitale della Gsi Lucchini così come la Steel Mont e la Elti alla sola Vertek Piombino. Per lo stabilimento Alcoa di Portovesme resta invece aperta la pista Glencore, mentre Klesch sembra ormai fuori dalla trattativa.



La task force con i sindacati al Ministero punta a definire entro agosto un memorandum of understanding tra Glencore e Mse prima di avviare la trattativa vera e propria con Alcoa. Sul tavolo le criticità sul sito di Portovesme: l’elevato prezzo dell’energia elettrica e le carenze infrastrutturali.



Sembra di nuovo sul tavolo poi una vendita dell’Ast-Tk di Terni. I finlandesi di Outokumpu, che avevano rilevato il segmento inox da ThyssenKrupp, sono stati costretti a metterlo in vendita dai paletti dell’Antitrust Ue. La stessa Bruxelles ha poi autorizzato il riacquisto da parte dei tedeschi di Thyssen a inizio anno. Ma ora le acciaierie sembrano di nuovo in vendita. L’ennesimo nome da aggiungere nella lista dei gruppi ancora a caccia di nuovi soci.



Come Termini Imerese, che potrebbe trovare un nuovo azionista in Cina, vicino al gruppo Bmw, stando alle informazione prese personalmente da Renzi nell’ultima visita ufficiale. Ma nella lista delle 150 vertenze italiane, ce ne sono molte in cui la caccia all’investitore non è ancora ufficiale, ma di fatto l’unica via d’uscita possibile. A patto che si trovino i compratori.