Transizione energetica, emissioni zero: i fatti contano

Transizione energetica, emissioni zero: i fatti contano
di Roberta Amoruso
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Mercoledì 27 Luglio 2022, 10:07

Cambiare costa. E la transizione energetica è certamente tra le svolte globali più costose. Costa per la portata degli investimenti necessari, visto che secondo l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena) servono 5,7 trilioni di dollari l’anno fino al 2030 per realizzare tecnologie che permettono di raggiungere emissioni zero entro la metà del secolo. Ma la lotta ai cambiamenti climatici e alla dipendenza energetica costa cara anche perché, nonostante la rotta tracciata dall’Europa per la “transizione giusta”, i benefici economici per famiglie e imprese non sono così immediati. Colpa anche degli ostacoli burocratici che ne rallentano la marcia. Gli stessi numeri, però, dicono che la strada verso la neutralità carbonica segnata con gli accordi di Parigi è obbligata. Lo è ora più che mai in piena crisi energetica legata al conflitto in Ucraina; e mentre diventano più evidenti gli effetti devastanti del cambiamento climatico, tra siccità e scioglimenti dei ghiacci. Così si spera che l’Italia sappia sfruttare appieno la leva del Pnrr ispirata agli obiettivi della transizione ecologica ed energetica, nell’ambito del Next Generation Eu. Considerando anche le risorse del fondo complementare, l’Italia ha messo sul piatto circa 70 miliardi di euro a favore di rivoluzione verde e transizione ecologica, ovvero circa il 30% degli investimenti previsti. Per l’Italia la sfida è passare dall’80% del fabbisogno energetico oggi soddisfatto da gas, petrolio e carbone, al 45% coperto da fonti green entro il 2030 (il 70% se si guarda soltanto all’energia elettrica).

RISCHI E OPPORTUNITÀ

 Gli evidenti vantaggi per il clima e l’ambiente sono però soltanto una parte degli effetti legati alla transizione dall’energia fossile a quella rinnovabile. Gli effetti, nel medio e lungo periodo, sono anche per l’economia e per la collettività. La transizione energetica è tale da rivoluzionare il paradigma economico in favore di un modello di economia circolare, dove l’efficienza energetica assume un ruolo di primo piano, con benefici che vanno da una minore vulnerabilità delle economie nazionali causata dalle fluttuazioni dei prezzi dell’energia alla minore dipendenza dalle importazioni, passando anche per l’aumento dei posti di lavoro nel settore dell’energia verde e per la riduzione dei costi delle bollette.

Un recente studio del Deloitte Economics Institute offre un’idea dei rischi che potrebbe correre l’Italia se non tiene il passo della transizione.

Il dossier “Italy’s Turning Point - Accelerating New Growth On The Path To Net Zero” affronta l’argomento da due diverse prospettive: da una parte analizzando quale sarebbe l’impatto economico dell’inazione rispetto ai cambiamenti climatici per l’Italia, dall’altra mostrando le importanti opportunità economiche e sociali che invece deriverebbero dalla transizione energetica. E dunque «un riscaldamento globale di circa 3 gradi – spiega lo studio – produrrebbe in Italia enormi danni in termini economici, ambientali e per la salute umana». Nei prossimi 50 anni le perdite economiche cumulate indotte dal cambiamento climatico per l’Italia potrebbero ammontare a circa 1,2 trilioni di euro rispetto a un contesto in cui il riscaldamento climatico è stato tenuto sotto controllo (+1,5 gradi come previsto dagli accordi di Parigi) grazie alla progressiva decarbonizzazione del sistema. In questo scenario, nel 2070 il nostro Paese dovrebbe confrontarsi con un differenziale negativo del Pil stimato in 115 miliardi a causa di una ridotta produttività e della mancanza di nuovi investimenti, con ricadute su tutti i settori dell’economia nazionale. Questo perché capitale produttivo e know-how verrebbero concentrati nel tentativo di riparare i danni indotti dal deterioramento del clima invece di essere diretti verso l’innovazione. Inoltre, rispetto a uno scenario in cui l’aumento medio delle temperature è invece di 1,5 gradi ci sarebbero circa 21 milioni di posti di lavoro in meno (420.000 all’anno in media) nei prossimi 50 anni. «Peraltro, i 5 principali settori economici italiani – servizi privati e pubblici, manifattura, commercio al dettaglio e turismo, edilizia e trasporti, che rappresentano l’85% del Pil – risulterebbero fortemente esposti ai rischi del cambiamento climatico». Il punto di svolta, ovvero il momento in cui i benefici della transizione ecologica iniziano a superare i costi, è fissato nel 2043, dice Deloitte. Se l’Italia rafforzasse ulteriormente il proprio impegno sul fronte della decarbonizzazione, con adeguati investimenti nelle fonti alternative nel prossimo decennio, «sarebbe uno dei primi Paesi in Europa a raccogliere i benefici della transizione ecologica: la media europea del punto di svolta sarebbe l’anno 2050». Al punto che nel primo decennio successivo al 2043, l’Italia potrebbe sperimentare un aumento del Pil come raramente si è visto. Di qui la necessità che si dia sempre più spazio alle fonti alternative. 

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