Quanto ci costa la pelliccia dell'Orso Russo

Gianni Bessi
di Gianni Bessi
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Mercoledì 15 Giugno 2016, 17:14 - Ultimo aggiornamento: 1 Agosto, 09:52
L’economia dei Brics sta attraversando un momento preoccupante, almeno a parere di operatori finanziari e investitori, costretti a mantenere un livello alto di attenzione per non restare sorpresi dagli effetti negativi delle politiche attuate dai Paesi definiti ‘emergenti’. Con un’unica eccezione, rappresentata dalla Russia. E proprio su di essa vale la pena di spendere una riflessione, per capire se non sia il caso – e a mio parere lo è – di considerarla un’opportunità, per la politica estera dell’Unione europea sia dal punto di vista degli scambi commerciali sia degli investimenti.

Innanzitutto perché i numeri confermano la crescita della Russia, anche oltre le previsioni, candidandola a essere in potenza l’interlocutore economico sempre interessante. L’Europa non può permettersi di sottovalutare l’occasione – mentre sta costruendo, a fatica e fra molte resistenze, un nuovo rapporto commerciale con gli Usa grazie al Ttip –di recuperare contemporaneamente un nuovo rapporto con Mosca. Non dimentichiamo che nonostante le sanzioni che l’Ue ha deliberato nel 2014 abbiano giocato un ruolo fondamentale nella crisi economica della Russia, il suo Governo ha risposto con efficacia, adottando misure di difesa appropriate, cioè adeguando il piano strategico economico con il supporto delle riserve valutarie, che restano cospicue (più di 320 miliardi di dollari). E per l’Italia questo ‘recupero’ avrebbe un valore anche più importante, perché la nostra ripresa è ancora debole e abbiamo bisogno di aumentare il flusso delle esportazioni a cominciare dall'agroalimentare.

Gli elementi che suggeriscono di riconsiderare le posizioni attuali sono numerosi: intanto la Russia ha iniziato una manovra di avvicinamento politico testimoniato in primo luogo dalle scelte in campo militare, con la rottura della tregua del 27 febbraio, la ripresa dei bombardamenti in Siria e la richiesta di interventi coordinati con la coalizione internazionale guidata dagli Usa.

Venendo al campo prettamente economico, le corporate russe, nonostante l’andamento ancora poco convincente delle commodity, vedi il trend al ribasso di acciaio e rame rispetto al rimbalzo delle commodity agricole, hanno rafforzato le quotazioni, al punto che i titoli sovrani russi in questo momento sono i più allettanti (situazione dovuta anche al loro basso costo). Le banche stanno proseguendo in operazioni di buy back mirate a una stabilizzazione patrimoniale e il mercato azionario offre un premio al rischio del 14,5% rispetto a quello espresso nei rendimenti dei titoli governativi europei.

Anche la produzione industriale russa è in crescita: in aprile ha segnato un più 0,5% rispetto alle attese negative (meno 0,5%). Stessa cosa per il Pil del primo trimestre, che si è stabilizzato a -1,2% rispetto al previsto -2%. Infine, i risultati della recente missione del Fondo Monetario Internazionale aumentano le aspettative di un recupero ulteriore dell’economia russa, che uscirà dalla recessione nel 2017, evidenziando una diretta correlazione con il prezzo del greggio che è alla base dei flussi di capitale degli ultimi mesi.

La Russia si appresta anche a ritornare sul mercato eurobonds in divisa forte, dove sino a Febbraio del 2014 si contavano oltre 220 miliardi di dollari di emissioni obbligazionarie, oggi ridotte a meno di 180 miliardi. E nei prossimi 2 anni il 38% del rimanente andrà in scadenza, mentre le banche russe attualmente sono posizionate su scadenze brevi e medie per meno di un terzo del debito estero circolante. Ed è indubbio che uno sblocco o riduzione delle sanzioni da parte europea e Usa ridarebbe fiato al mercato obbligazionario russo in dollari ed euro, soddisfacendo una richiesta crescente di diversificazione in tal senso.

Intanto quelle che potremmo definire le ‘scommesse’ sul prezzo del petrolio stanno riportando interesse e flussi di portafoglio sulle emissioni in rubli russi. L’oil & gas sta vivendo infatti una congiuntura nella quale le riserve di petrolio e di prodotti raffinati sono aumentate ma, a differenza che nel passato, ciò non si è tradotto in un’ulteriore pressione sui prezzi del greggio. Questo perché l’eccesso di riserve sta coprendo l’aumento della domanda e anche i cali produttivi di Paesi con una grave situazione politico economica – quali Venezuela, Libia e Nigeria – o alle prese con gli effetti di una tragedia ambientale, come il Canada. Le politiche del settore sono influenzate anche dall’avvicendamento del ministro del Petrolio saudita Alì al Naimi con il presidente di Aramco Khalid al-Falih, che ha favorito il rientro del prezzo del barile a quota 50 dollari: il Meeting Opec di giugno a questo punto potrà avere anche effetti sul rublo nell’ottica speculativa sull’andamento del prezzo del petrolio e sul recupero della congiuntura russa.

Con uno scenario di questo tipo, l’Ue dovrebbe cominciare a interrogarsi se non sia il caso di guardare a Mosca con un’attenzione differente. Significa avere una visione di lungo periodo, trovando l’autorevolezza diplomatica per risolvere le controversie politiche fra Russia e Ucraina e riaprire quei rapporti di interscambio con Mosca che porterebbe un beneficio immediato all’economia e alla pace.
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