Tfr in busta paga: a chi conviene
L'ora della scelta. Ma c'è il rischio flop

Tfr in busta paga: a chi conviene L'ora della scelta. Ma c'è il rischio flop
di Andrea Bassi
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Domenica 1 Marzo 2015, 06:16 - Ultimo aggiornamento: 19 Marzo, 14:36
È meglio l'uovo oggi o la gallina domani? A questa domanda, a partire da domani, saranno chiamati milioni di lavoratori dipendenti. Il governo ha deciso di dare la possibilità in via sperimentale per quaranta mesi, da oggi fino al 30 giugno del 2018, di poter ricevere in busta paga la quota mensile di Tfr, il trattamento di fine rapporto. Una boccata d'ossigeno per le famiglie più in difficoltà, ma al prezzo di dover rinunciare in futuro ad una fetta della liquidazione o, per chi versa il Tfr nei fondi pensione, ad una quota dell'assegno complementare. Il primo elemento da valutare nella scelta riguarda la tassazione. Il Tfr lasciato a maturare in azienda ai fini della liquidazione, o versato ai fondi pensione, ha un trattamento fiscale più favorevole rispetto a quello in busta paga che, invece, sconta un prelievo ad aliquota marginale. Significa che più alto è il reddito, più le imposte eroderanno l'assegno. Ma per fare una scelta consapevole è necessario conoscere alcuni elementi: 1 - di quanto mensilmente aumenterà la busta paga dirottando nel cedolino mensile il Tfr; 2 - Quanti soldi in meno si avranno di liquidazione una volta lasciato il lavoro per chi ha il Tfr in azienda e lo trasferisce in busta paga; 3- Quanti soldi in meno percepirà di pensione integrativa chi ha il suo Tfr in un fondo pensione e decide invece di incassarlo subito. Il Messaggero ha chiesto a Progetica, società di consulenza indipendente per l'educazione e la pianificazione finanziaria, di elaborare delle simulazioni che permettessero di confrontare il beneficio immediato di ricevere in busta paga il Tfr, con il sacrificio futuro sulla liquidazione e sulla pensione integrativa. Per completezza di informazione, Progetica ha fornito anche una stima della pensione pubblica che nei casi ipotizzati, il dipendente si troverebbe ad incassare mensilmente una volta raggiunta l'età della pensione.



I RISULTATI

Il primo profilo elaborato da Progetica è quello di un lavoratore dipendente trentenne che guadagna 15 mila euro lordi l'anno. Si tratta di un reddito mensile di poco meno di mille euro. Se questo ipotetico lavoratore decidesse di farsi pagare il Tfr in busta paga, nei quaranta mesi della sperimentazione, potrebbe contare su un maggior reddito di 2.680 euro. Su per giù, considerate anche le tredicesime, si tratta di una sessantina di euro al mese in più nel cedolino. Se invece decidesse di lasciare quei soldi in azienda per incassarli a fine carriera come liquidazione, otterrebbe 3.852 euro in più in termini reali. La si può raccontare anche al contrario: per avere subito 2.680 euro, deve rinunciare a 3.852 euro futuri, ad un 30% in più di denaro. Ma se invece di incassare la liquidazione quei soldi il lavoratore li versasse in un fondo pensione, farsi versare il Tfr in busta paga significherebbe incassare subito 2.680 euro per rinunciare ad una rendita aggiuntiva di 7.252 euro, il 171% in più. La gallina di domani, insomma, è bella grossa. E questo soprattutto considerando che la pensione pubblica del lavoratore dipendente che incassa 15 mila euro lordi all'anno sarà solo di 550 euro mensili. Il discorso varia poco per gli altri profili (si veda la tabella pubblicata in pagina). Un quarantenne che guadagna 40 mila euro lordi annl'anno, ossia poco più di 2 mila euro al mese, potrebbe avere subito in busta paga 5.720 euro per 40 mesi, circa 140 euro al mese. Ma a fronte di questo dovrebbe rinunciare a 8.641 euro di liquidazione o, nel caso versi i suoi soldi ad un fondo di previdenza integrativa, a 14.118 euro di pensione complessiva nel corso degli anni. Questo sempre considerando che la pensione pubblica del suddetto dipendente ammonterebbe a circa 1.275 euro al mese una volta lasciato il lavoro. Secondo Confesercenti, che ha commissionato un sondaggio ad Swg, coloro che chiederanno subito il Tfr in busta paga saranno solo il 6% dei lavoratori. Un altro 11% potrebbe farlo entro la fine dell'anno. La stragrande maggioranza dei lavoratori non ha nessuna intenzione di incassare subito una quota della liquidazione.