Svalutazione Yuan, domande e risposte. Il grande risiko delle monete

Svalutazione Yuan, domande e risposte. Il grande risiko delle monete
di Oscar Giannino
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Giovedì 13 Agosto 2015, 08:31 - Ultimo aggiornamento: 08:38
Chi credeva che con l’accordo greco i mercati ssi potessero rasserenare in questo agosto, non ha fatto i conti con la Cina.

Ieri un’altra bella botta ai mercati finanziari di tutto il mondo e delle materie prime: Pechino, per il secondo giorno consecutivo, ha ribassato di un altro 1,6% la soglia di riferimento del corridoio di oscillazione dello yuan-renminbi rispetto al dollaro. In due giorni, la valuta cinese è scesa del 3,5%. E’ una svalutazione dovuta, in realtà. I fondamentali dell’economia cinese non sono più quelli travolgenti della crescita né all’11, né al 10, né all’8% annuo, e molti mettono giustamente in dubbio che sia credibile anche il 7% atteso. L’export è in calo dell’8% nell’ultimo mese e scende da 5 mesi consecutivi su 6, quest’anno. L’import anche, segno che pure i consumi e la produzione frenano rispetto alle attese. Il settore immobiliare è gravato da una maxi bolla. Il deprezzamento dello yuan trascina al ribasso i paesi asiatici che in Cina vedono lo sbocco, da oltre il 20% fino al 50% del loro export, come Australia Nuova Zelanda Thailandia e via continuando. Spingono potentemente al ribasso le commodities, cioè le materie prime a cominciare dai metalli per costruzioni e il petrolio.



Il rischio di una caduta verticale dello yuan però non c’è: la valuta cinese non oscilla liberamente sui mercati, è controllata dalle autorità comuniste cinesi ed è da vent’anni legata a un peg – un vincolo di oscillazione – rispetto al dollaro. Tuttavia la bolla cinese si deve sgonfiare, e questo fatto getta ombre pesanti sull’intero commercio mondiale, ergo anche su di noi. Che dal commercio mondiale dipendiamo per la componente più vitale che traina la nostra asfittica crescita, cioè l’export.​



Domande&Risposte



Che cosa significa la svalutazione dello Yuan?

L’America aveva bisogno della Cina nel WTO nel 2001, perché un pese che moltiplicava ogni anno il suo export era costretto – per evitare che la sua valuta si apprezzasse troppo penalizzando l’export – a comprare riserve in dollari e titoli del debito americano a pacchi. Ed è stato così fino a 2 anni fa, quando il totale delle riserve cinesi arrivò a superare i 4 trilioni di dollari. Ma se un paese a cambio vincolato col dollaro “compra” valuta e debiti in dollari quando la sua economia attira capitali , quando le cose iniziano ad andare peggio deve “vendere” riserve e debiti in dollari per equilibrare i flussi di capitale in uscita. Infatti nell’ultimo anno di frenata dell’economia cinese le riserve sono scese sotto i 3,5 trilioni. E ora Pechino ha deciso che bisogna iniziare il riequilibrio facendo scendere il valore della moneta.

Meglio uno yuan svalutato col contagocce, che una crisi di sostenibilità del sistema del credito cinese: al confronto, il fallimento di Lehman Brothers sarebbe una partita di monopoli.



Pechino è costretta a farlo?

Se guardiamo all’andamento ventennale, i cinesi hanno fortemente rialzato il valore dello yuan, passando da 8,3 a 6,3 sul dollaro. Sulle altre monete, in 20 anni lo yuan è raddoppiato di valore. Che ora scenda di qualche punto sul dollaro serve a ridare fiato a un export i difficoltà, e svaluta il potere d’acquisto dei cinesi sui mercati. Da questo punto di vista, a considerarlo un segno di forza sono coloro che credono il mondo proceda solo per svalutazioni competitive. In realtà, rivela la crescente difficoltà della transizione cinese verso un’economia meno sorretta da export e investimenti è più dalla domanda interna.



Le conseguenze per l'economia mondiale?

Dipende quanto proseguirà la sua svalutazione. Meno petrolio, cemento e acciaio consumati nella secondo economia mondiale significano meno commercio mondiale, e ampi settori dei mercati finanziari al ribasso delle aspettative. Significa frenata ancor più intensa per le ex locomotive della crescita mondiale, i BRICS oggi in crisi a cominciare da Russia e Brasile. Significa però anche, per queste stesse ragioni, politiche monetarie che restano accomodanti per ancor più lungo tempo, sia in USA che in Europa.



L'Italia è tra i paesi più penalizzati?

I paesi più penalizzati sono quelli che mandano in Cina oltre il 20% del proprio export: magari fosse il caso italiano. E’ ovvio che veniamo colpiti anche noi, a cominciare da lusso e made in Italy. Ed è vero che nell’interscambio con la Cina siamo in forte deficit, cioè esportiamo lì te volte meno di quanto lei faccia da noi. Ma non è affatto vero che siamo tra i più penalizzati, in una scossa che riguarda il mondo intero. Noi siamo solo il 25° paese fornitore al mondo della Cina. Per esser chiari: alla Germania va peggio che a noi.



Ma come reagiranno Europa e Usa?

Se guardiamo alle medie quarantennali, oggi il dollaro è di un 10% circa più caro rispetto al basket di maggiori valute mondiali. Questa cosa, per l’importanza assoluta che ha per l’Italia l’export negli Usa – assai più che in Cina, è positiva per noi. L’idea he tutti possano svalutare a gara per crescere di più è tecnicamente una fesseria: sarà popolare e garantisce applausi, ma resta una fesseria. Perché se un paese ha i fondamentali che vanno peggio la sua valuta cede, e a quel punto altre valute salgono. Chi pensa che il problema dell’euro sia il suo cambio, dimentica che invece il nostro problema è la bassa produttività, che non si cura con le svalutazioni.



La Germania dovrà pagare pegno?

Non sarà la Cina a farle cambiare idea. Con l’euro la Germania ha goduto sui mercati in cui esporta di un cambio più vantaggioso rispetto al marco e di tassi negativi sul suo debito sovrano, i mercati hanno visto la corsa a pagare il Tesoro tedesco per comprarne i titoli. Pensare che questa cosa venga mutata da un 3,5% in meno di valore dello yuan è come dimenticare che la Germania ha guadagnato con l’euro centinaia di miliardi. Nel dirlo , però, va detto che li ha guadagnati perché aveva la produttività maggiore di tutto il resto dell’euroarea, non perché usasse carri armati e bombardieri come pensano molti fan italiani di inflazione e svalutazione.



Mutui, tassi, investimenti, cosa cambia?

Svalutando, la Cina esporta deflazione. Ergo il QE di Draghi ha una ragione in più e non in meno per durare, e per gli USA è più difficile alzare i tassi. La Cina spinge le autorità monetarie a restare ancor più sull’orizzonte di tassi bassissimi. E tutti lo considerano un bene: anche su questo c’è molto da discutere. E’ un bene per fusioni e acquisizioni aziendali fatte a debito,basta vedere quante ne avvengono per centinaia di miliardi negli Usa. E’ un male per chi deve investire, perché il denaro costa poco ma è difficile calcolarne il ritorno negli anni. Per le famiglie italiane, dunque, lo yuan svalutato è amico. Per aziende e lavoratori del made in Italy, no. Ma non siamo affatto tra chi ci rimette di più.
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