Stoppani: «I giovani non vogliono fare i camerieri? Sbagliano, sono più importanti dello chef»

Lino Stoppani, vicepresidente di Confcommercio
di Roberta Amoruso
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Lunedì 9 Luglio 2018, 17:22 - Ultimo aggiornamento: 19:19
ROMA «La brigata di un ristorante è fatta di tante professionalità, ma non è facile far capire ai giovani quanto tutte queste siano fondamentali e abbiano un ruolo preciso, quando si tratta di misurare il valore dell’accoglienza. È proprio questo valore che fa la differenza nella ristorazione». E dunque se si fa tanta fatica a trovare giovani qualificati anche in questo settore sempre in crescita, nonostante i colpi della crisi, «è per lo più per una questione culturale». A far decollare l’offerta di chef, per la verità, ci hanno pensato i format in tv, da Masterchef in giù. Ma è sempre più difficile per esempio trovare pasticceri, camerieri o sommelier». E questo non certo perchè sono venuti meno i voucher. Lino Stoppani, vicepresidente di Confcommercio e presidente della Fipe, è un’istituzione nel settore per aver cresciuto per 42 anni fino all’uscita completa nel 2013, un tempio della cucina milanese come il ristorante Peck. Ma come mai la fortuna dei format televisivi ha riscoperto il mestiere dello chef e lasciato indietro anche il pasticcere? «Al di là dei casi di eccellenza, come per esempio Massari, direi che in Italia ci sono tanti pasticcioni e pochi pasticceri veri, di stampo tradizionale». Perchè non è considerato un mestiere attraente per i giovani? «Molto dipende per la verità da un dato storico, che ha poi influenzato negli anni la percezione culturale di questo mestiere. Il pasticcere ha competenze diverse dal cuoco, può essere considerato più un farmacista, perchè deve calibrare con sapienza gli ingredienti. Ma se una volta, però questo mestiere si svolgeva nelle pasticcerie, in veri e propri laboratori, oggi queste si sono trasformate per lo più in bar». Risultato? «Oggi la posizione del pasticcere è considerata secondaria, di fatto di supporto rispetto a quella del cuoco. E così finisce che in cucina, i cuochi sono capopartita e spesso fanno anche da pasticceri».
E il cameriere? «In questo caso, le motivazioni per le quali i ragazzi non sono particolarmente attrattatti da questa posizione sono due. Primo, perchè è visto come un lavoro poco prestigioso. È bollato erroneamente come un lavoro in cui si servono gli altri e dunque con poco appeal dal punto di vista reputazionale. Ma è un grosso errore. Inoltre, il lavoro del cameriere è stato di fatto snaturato: prima il cameriere era un cuoco prestato alla sala, ora è solo un portatore di vivande. Ma per me può avere un ruolo anche più importate del cuoco, può dare il valore aggiunto come un giardino lo può dare ad una casa, può anche correggere eventuali errori in cucina, e se è bravo può essere fondamentale nel fidelizzare i clienti». Ma forse è anche una questione di stipendio e di impegno? «La busta paga può centrare fino a un certo punto, perchè camerieri qualificati posso guadagnare anche bene, più di un funzionario di banca. Ma certamente lavorare in un ristorante comporta dei grandi sacrifici, non solo in termini di orario e tempo libero, ma anche in termini fisici. Sempre più spesso i ragazzi preferiscono cogliere l’opportunità di lavorare per le grandi catene alberghiere. Costa meno sacrifici. Non è facile fare capire ai giovani che la cura e il rapporto con i clienti può dare grandi soddisfazioni. Il valore dell’accoglienza ha il suo peso. i giovani dovrebbero comprendere che devono cercare un lavoro, non un posto». Forse vanno spinte di più anche le scuole di formazione? Molta strada è stata già fatta negli ultimi anni in questo senso anche a livello politico, ma sono favorevole a una trasformazione delle scuole professionali in scuole di accoglienza. Anche un format tv sul mestiere del cameriere potrebbe dare la giusta spinta».
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