Rivoluzione concorsi, una selezione unica da tenere ogni 3 anni

Rivoluzione concorsi, una selezione unica da tenere ogni 3 anni
di Andrea Bassi
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Martedì 11 Luglio 2017, 23:58 - Ultimo aggiornamento: 13 Luglio, 14:52
La strada è già stata indicata. I mini concorsi pubblici, quelli per pochi posti banditi autonomamente da ogni singola amministrazione, andrebbero messi in soffitta. L’intenzione sarebbe di passare, gradualmente, a concorsi unici triennali per tutte le amministrazioni per il reclutamento del personale, soprattutto quello amministrativo, della pubblica amministrazione. Dei veri e propri “concorsoni”, insomma, legati alla ricognizione dei fabbisogni di personale che tutte le amministrazioni dovranno fare ogni tre anni. È uno degli effetti della riforma del pubblico impiego da poco approvata definitivamente, ma che rende, almeno per il momento, quella di affidarsi al concorso centralizzato solo una scelta volontaria. Ma che potrebbe diventare quasi obbligata in periodi di spending review.

Accentrare i concorsi comporta risparmi di costo notevoli. «Il modello di cambiamento dei concorsi», spiega il ministro della Funzione pubblica Marianna Madia, «parte da un esempio concreto: il concorso per 500 funzionari bandito lo scorso anno dal ministero dei beni culturali, gestito con un supporto amministrativo centralizzato, che in un anno ha portato a termine una selezione di oltre 20 mila candidati. Si tratta», aggiunge il ministro, «di una esperienza positiva, che coniuga efficienza, economicità ed efficacia delle prove selettive». Al ministero, che sta lavorando agli atti di indirizzo e alla modifica dei regolamenti dei concorsi, del resto quello che è accaduto ieri a Genova con la selezione dei 200 infermieri alla quale si sono presentati 12 mila candidati, non è passato inosservato. Perché, come dimostrano le cronache recenti, non è un caso isolato. Le ragioni di questi affollamenti sono diverse. Una è di certo la preferenza di una parte degli italiani al posto pubblico e alle sue tutele. Un’altra è che, dopo anni di blocco del turn over, le amministrazioni statali hanno ricominciato ad assumere con una certa costanza. Tutti quelli che hanno una determinata professionalità e vogliono spenderla nella Pubblica amministrazione, insomma, finiscono per diventare “pendolari” dei concorsi, presentandosi alla chiamata di ogni singola amministrazione.

DISTANZE PIÙCORTE
Con i concorsi unici, invece, la distanza tra la domanda e l’offerta di lavoro pubblico, dovrebbe trovare maggiore equilibrio. A fronte di migliaia di candidati, ci sarebbero anche migliaia di posti da coprire, e non qualche centinaio o poche decine come nel caso delle procedure singole. Ovviamente la selezione “comune” potrà avvenire solo per le professionalità «trasversali», quelle che sono necessarie a tutte le amministrazioni, ma che rappresentano comunque il numero maggiore di posizioni da coprire. Per i profili specialistici, come può essere per esempio la ricerca di un chirurgo, la selezione non può che essere in capo alle singole amministrazioni. Il passaggio al concorso unico oltre ad essere graduale, sarà anche flessibile. L’adesione alla procedura, come detto, sarà volontaria. Anche perché non potrà essere imposta agli enti locali e alle Regioni.

L’altra questione sulla quale in queste settimane i tecnici sono al lavoro, è quella della scrematura iniziale dei candidati. I test preselettivi di cultura generale o psico-attitudinali, hanno fatto ormai il loro tempo. Sono stati criticati da più parti, compresa la Banca d’Italia, che ha sottolineato come siano basati su un approccio nozionistico. Non consentirebbero, insomma, di selezionare i più preparati per il lavoro che devono svolgere. «Le prove», spiega la ministra Madia, «debbono premiare il saper fare, la capacità di risolvere problemi e di applicare in concreto le conoscenze acquisite, non il nozionismo astratto». Non è semplice. Gli sbarramenti, come la valutazione del dottorato di ricerca, pure prevista dalle nuove norme, vanno bene per le posizioni più elevate, ma rischierebbero di essere discriminatorie se applicate anche alle mansioni inferiori. Anche le valutazioni iniziali per titoli, che pure sarebbero una selezione sul merito, non sono una via facilmente percorribile. Valutare i titoli è molto impegnativo. Una via alternativa, che viene guardata con un certo interesse, è quella di usare un meccanismo già in vigore per l’Agenzia delle Entrate: assumere per un periodo di prova un numero di candidati superiore al fabnbisogno per poi tenere, alla fine, solo i più bravi. Per gli altri la consolazione di aver fatto un periodo di tirocinio nei ranghi della Pubblica amministrazione.

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