Sterzata in economia: più ruolo per lo Stato

Sterzata in economia: più ruolo per lo Stato
di Diodato Pirone
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Giovedì 16 Febbraio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 07:45
Mischiati ai fumi dell’ennesima battaglia fra renziani e antirenziani nel Pd stanno emergendo segnali di una svolta profonda, non solo nei programmi politici ma anche nel posizionamento sociale del Partito. Non senza qualche sorpresa, un renziano doc come il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli l’altro giorno ha impugnato la bandiera dello stop alle privatizzazioni delle Poste. Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, - pur tenendo nella direzione di lunedì un intervento ragionato («Il Pd è un corpo estraneo al Sud», ha sillabato) - non ha esitato a sfoderare una proposta populista come quella di un piano per «centinaia di migliaia di assunzioni di giovani nel pubblico impiego».

La settimana scorsa poi c’è stata una vera e propria mobilitazione di parlamentari Democrat, per bloccare l’improvviso aumento degli abbonamenti ai treni ad alta velocità delle FS. E le Ferrovie hanno dovuto innestare la marcia indietro di fronte al “niet” del ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio. Che pure si è sempre detto contrario ad interferenze nell’operatività delle aziende pubbliche ed è favorevole alla quotazione in Borsa delle Freccerosse.

MUTAZIONE GENETICA
Certo, l’approssimarsi delle urne favorisce l’accondiscendenza verso gli elettori, ma tante coincidenze fanno sorgere molte domande: ma siamo di fronte ad un Pd in stato confusionale dopo il cappotto incassato al referendum? Oppure è in corso una mutazione genetica del renzismo?

Fra i democratologi, l’ipotesi più gettonata è quella che, sia pure ancora allo stato embrionale, stia prendendo forma il programma di una sorta di “renzismo sociale”. Il che significa che sull’irrinunciabile storytelling delle riforme Renzi cercherà di innestare una forte attenzione verso i segmenti meno abbienti e meno attivi della popolazione. Un renzismo più di sinistra, insomma. «Il punto è coniugare merito e bisogni in una società aperta», spiega le coordinate generali il renzianissimo senatore Giorgio Tonini, presidente della Commissione Bilancio del Senato, uno delle teste d’uovo della nuova renzinomics insieme all’economista della Bocconi, Tommaso Nannicini.

Prova di questo percorso è la fretta che sta spingendo il Pd ad approvare in Senato entro i primi di marzo la legge delega sulla povertà seguita passo passo dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Obiettivo? Distribuire 1,8 miliardi l’anno per garantire a 180.000 famiglie nel 2017 e a 400.000 nel 2018 un aiuto mensile fino a 400 euro. I soldi arriveranno attraverso una carta prepagata - che si chiama SIA (Sostengmo all’inclusione attiva) - “rifornita” dall’Inps e distribuita dai Comuni a chi ha davvero bisogno. L’aiuto andrebbe anche a chi perde il lavoro ad una età superiore ai 55 anni. Una rivoluzione per il welfare italiano finora sbilanciato sulle pensioni.

IL RISCATTO
Ma in pentola sta bollendo molto di più. «L’analisi del voto referendario dimostra che gli italiani che si sentono esclusi e i giovani hanno votato NO in blocco - spiega Tonini - Dobbiamo permettere a questi strati della popolazione di tornare a vedere nel Pd uno strumento di speranza e di riscatto con proposte forti». Esempio? Al Nazareno progettano di abbandonare i “Bonus” usati finora da Renzi (come quello da 500 euro per i 18enni) in favore di una vecchia parola d’ordine della sinistra più classica: “Il Piano”.

E gli economisti renziani stanno studiando proprio un Piano ad hoc per i trentenni senza lavoro ai quali sarebbero destinati due canali privilegiati: assunzioni in qualche modo riservate nella pubblica amministrazione oppure la partecipazione a corsi di formazione per “tecnici ad alta tecnologia”, quelli che le industrie italiane del Nord non riescono a trovare, organizzati dalle imprese private e dall’Anpal, la nuova Agenzia nazionale per le Politiche del Lavoro nata con il Jobs Act.

COME REAGAN
Quello delle assunzioni pubbliche è un tema che i “programmisti” renziani maneggiano con delicatezza. «Inutile ricordare che dobbiamo onorare il nostro debito pubblico», spiega Tonini. Tuttavia è evidente l’allentamento dei freni. La neoministra della Pubblica Istruzione ha firmato un accordo con i sindacati per facilitare i trasferimenti degli insegnanti ex precari appena assunti. E la ministra della Funzione Pubblica, Marianna Madia, sta lavorando al via libera all’assunzione degli impiegati con almeno tre anni di precariato alle spalle.

Già. Ma dove trovare i soldi per le assunzioni future? La convinzione dei renziani è che dopo le elezioni 2017 di Francia, Germania e Italia bisognerà riscrivere il patto fra gli europei. Si ipotizza un grande piano di investimenti europei finanziato da titoli pubblici “federali” di Bruxelles, con molti soldi destinati alla costruzione di una Difesa europea basata su tecnologie avanzatissime. Un modello di ripresa, con un maggior ruolo dello Stato, paradossalmente copiato da quello che attuò Ronald Reagan per far uscire gli Stati Uniti dalla grande crisi degli anni Ottanta.

C’è un ultimo snodo della nuova Renzinomics che merita un supplemento di riflessione: il rapporto col sindacato. Abbandonato da tempo lo scontro frontale e la ricerca del rapporto diretto con gli elettori, i renziani appaiono alla ricerca di forme di collaborazione con i corpi intermedi. In una intervista alla Stampa, Nannicini ha parlato di nuove proposte per «connettere istituzioni e società». Segnali ancora fumosi. Fra i renziani non è stata abbandonata l’idea di una legge sulla rappresentanza che metta ordine nel groviglio degli oltre 1.000 sindacati e sindacatini italiani e consenta di far decollare la contrattazione aziendale e con essa la produttività del sistema e il Pil. Già. Perché la bassa crescita resta il nemico principale del renzismo, anche nella sua versione più di sinistra.
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