Statali, Madia: «Stop aumenti a pioggia. Nei nuovi contratti gli scatti non più uguali per tutti»

Statali, Madia: «Stop aumenti a pioggia. Nei nuovi contratti gli scatti non più uguali per tutti»
di Andrea Bassi
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Sabato 24 Ottobre 2015, 08:44 - Ultimo aggiornamento: 25 Ottobre, 10:19

Ministro Marianna Madia, a Sanremo, secondo un’indagine della magistratura, un dipendente comunale su due timbrava il cartellino per poi dedicarsi ad altro, canottaggio compreso. Non è un grande spot per i dipendenti pubblici alla vigilia del rinnovo del contratto?

«È un fatto grave. Ma come nei casi di corruzione c’è il rischio di generalizzare. È un errore. La maggioranza dei dipendenti pubblici sono persone per bene».

Non c’è il rischio che episodi come questo rendano diffidenti i cittadini verso la Pubblica amministrazione?

«Certo, ma per evitarlo c’è soltanto una soluzione, che il governo sta peraltro portando avanti con determinazione».

Può esplicitarla?

«La trasparenza. Da due giorni, solo per fare un esempio, sul sito soldipubblici, sono on line le spese dei ministeri. Un altro passo avanti sarà il Freedom of information act, la possibilità di accesso a tutti gli atti della Pa. Il 21 novembre a Torino, il premier Renzi presenzierà ad un evento sul digitale, e il tema centrale sarà proprio l’uso delle tecnologie ai fini della trasparenza. È il modo di avvicinare il cittadino all’amministrazione, ed è un freno al populismo che avanza».

Parliamo del rinnovo del contratto degli statali. Dopo sei anni di blocco, il governo nella stabilità ha stanziato 300 milioni l’anno. I sindacati sostengono che è un’elemosina, appena otto euro al mese di aumento, e perciò annunciano una battaglia durissima.

«I 300 milioni, in realtà, sono solo per i dipendenti dello Stato, che in tutto sono 1,8 milioni. Per il restante milione e mezzo di lavoratori di enti locali e Regioni dovrà essere un successivo decreto a stabilire le risorse».

Va bene, non saranno solo otto euro al mese ma, sempre seguendo il ragionamento dei sindacati, al massimo si arriva a 14 euro.

«Certo, seguendo questo ragionamento solo aritmetico».

È sbagliato?

«Credo che dopo anni di blocco bisognerà anche capire che indirizzo si vuole dare alla nuova tornata contrattuale, considerando che siamo in una fase di inflazione molto bassa. E considerando che uno statale su quattro riceve in busta paga il bonus da 80 euro varato da questo governo».

Significa che gli aumenti potrebbero non essere uguali per tutti, a pioggia, come si dice?

«Non è ancora deciso.

Ma credo che, date le risorse, il tempo che ci separa da qui all’approvazione della legge di Stabilità debba essere impiegato a ragionare su come distribuirle per valorizzare al meglio i dipendenti pubblici».

Ma un’idea lei ce l’avrà, del resto dovrà dare un indirizzo all’agenzia Aran su come muoversi nella trattativa con i sindacati sul rinnovo?

«È chiaro che se fossimo in un periodo di alta inflazione, qualche cosa per la perdita del potere d’acquisto la dovremmo restituire. Siccome siamo in un momento storico in cui l’inflazione è molto bassa, può avere un senso ragionare su criteri differenziati, come le fasce di reddito, le funzioni, le categorie. Sarebbe anche coerente con la riforma della pubblica amministrazione che ha come filo conduttore quello di premiare chi fa bene il suo lavoro. La divisione aritmetica dei sindacati non è più attuale. Penso che anche per loro confrontarsi su nuovi criteri possa essere una sfida da cogliere».

Prima di arrivare al quantum dell’aumento, bisognerà risolvere un altro nodo: quello dei comparti. La legge Brunetta dice che vanno ridotti da 11 a 4. Ma anche qui i sindacati sono decisamente refrattari.

«La riduzione dei comparti va fatta con una ratio: trovare le specificità che accomunano i settori. Ma non a livello di governo. Non ha senso mettere la sanità con le Regioni perché la sanità è solo di competenza regionale. La logica è che noi siamo parte di una Repubblica e che delle specificità di settore ci sono, come nella sanità e nella scuola. Detto questo, un accordo con i sindacati va trovato, perché senza la definizione dei comparti non può ripartire la contrattazione».

Sulla questione si è espresso il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, sostenendo che senza comparto ad hoc per le Agenzie sarebbe la fine inevitabile.

«Se i comparti devono essere al massimo quattro mi sembra difficile ce ne possa essere uno sulle Agenzie. Credo che per le Entrate la priorità al momento sia quella di portare a termine il concorso per gli 800 dirigenti dichiarati illegittimi dalla Consulta. Se la preoccupazione della Orlandi è la loro valorizzazione in base al merito, con il ruolo unico avrà tutti i meccanismi necessari per farlo».

Nella legge di Stabilità c’è un nuovo blocco del turn over. Le assunzioni saranno limitate al 25% della spesa del personale pensionato. Non è in contraddizione rispetto ai propositi di svecchiamento degli statali?

«In realtà questa norma ha una sua ragione».

Ce la spieghi.

«Vogliamo cambiare in maniera strutturale il modo di programmare le assunzioni nel settore pubblico. Dobbiamo riuscire ad assumere le persone necessarie con le professionalità che servono. Il turn over automatico va definitivamente superato».

Nella Stabilità però di questo non c’è traccia. Sembra più un modo di recuperare risorse?

«Non è così. Questa è una stabilità di transizione verso questo nuovo sistema dei fabbisogni, e non più delle piante organiche, che sarà introdotto con i decreti attuativi della riforma Pa. Se legge bene il testo della manovra, abbiamo deciso di assumere 500 funzionari dei beni culturali, mille ricercatori, 500 professori universitari, 120 manager pubblici. Ci siamo soffermati sulle professionalità che servono di più all’amministrazione. In futuro sarà lo standard. Oggi se vanno in pensione cinque centralinisti ne posso assumere uno. Ma magari non mi serve un centralinista, ma un esperto di digitale».

A proposito dei decreti attuativi della riforma. Se ne sono perse le tracce. Si era detto che sarebbero arrivati tra settembre e la fine dell’anno. A che punto sono?

«Da qui ai primi mesi del prossimo anno porteremo tutti i decreti in consiglio dei ministri».

Anche lo sblocca-burocrazia? Negli ultimi giorni è scoppiata la polemica sul silenzio assenso di novanta giorni per le aree soggette a tutela. Le sovrintendenze lamentano che i tempi sono stretti...

«È stata fatta confusione. La norma parla di silenzio assenso tra amministrazioni, non tra privati e Pa. Non è che se un privato va dal Comune per costruire un edificio e questo entro 90 giorni non risponde, allora può aprire il cantiere anche se la zona è vincolata. Il silenzio assenso scatta quando il Comune diventa amministrazione proponente della richiesta del cittadino e interpella le altre amministrazioni che per legge hanno voce in capitolo. La responsabilità dell’assenso è dell’amministrazione che non si è pronunciata. Dunque la responsabilità, nel caso, sarebbe del sovrintendente. Se nei 90 giorni dice no, il progetto si ferma. Costringiamo solo le amministrazioni a fare il loro lavoro».

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