Statali, arretrati e regole per la scuola: ecco i nodi ancora da sciogliere

Statali, arretrati e regole per la scuola: ecco i nodi ancora da sciogliere
di Andrea Bassi
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Venerdì 25 Novembre 2016, 07:56
Gli 85 euro di aumento sono soltanto un punto di partenza. Quello di arrivo, bene o male, dovrà essere deciso poi nella contrattazione tra sindacati e Aran, l'Agenzia pubblica che si occupa del pubblico impiego. Il punto è che gli 85 euro sono una «media», e l'effetto che si rischia è quello famoso dei polli di Trilussa, per cui se una persona mangia due polli e un'altra nessuno, in media ne hanno mangiato uno ciascuno. Dunque uno dei nodi da sciogliere, è quale sarà la distribuzioni tra le classi di reddito dei pubblici dipendenti degli aumenti. Il ministro della Funzione pubblica, Marianna Madia, ha sempre sostenuto che il governo vorrebbe privilegiare i redditi più bassi. Un'indicazione di principio che trova il plauso dei sindacati, ma che nella realtà potrebbe essere complicato attuare. Se si seguisse la logica dell'aumento in proporzione al reddito, chi guadagna di più avrebbe un aumento maggiore. Un insegnate con diversi anni di anzianità, solo per fare un esempio, potrebbe avere un aumento di 120 euro, mentre per il personale tecnico, magari, sarebbe di 50 e la media sarebbe 85. Se questo principio si inverte, considerando che nel pubblico impiego la fascia più bassa è più numerosa di quella medio-alta, il rischio è che oltre certi livelli di reddito gli aumenti diventerebbero molto bassi fino ad azzerarsi. Un infermiere esperto o un insegnante con molti anni di anzianità, insomma, rischierebbero di prendere poco o niente. È il timore dei sindacati. Tanto che era stata presa in considerazione, ma scartata, anche l'ipotesi di replicare il bonus Renzi, dare cioè un aumento identico per tutti. La cosa più probabile, insomma, è che si torni ad una dinamica normale degli aumenti, mettendo da parte l'idea dell'incremento inversamente proporzionale rispetto al reddito.

L'altra questione riguarda il momento in cui scatteranno gli aumenti in busta paga. Anche questo dipenderà dalla velocità con la quale saranno condotte le trattative in sede Aran. La validità del contratto, comunque, sarà per il triennio 2016-2018.

LE RISORSE
Questo significa che, in ogni caso, nel momento in cui sarà sottoscritto l'accordo dovranno essere versati anche gli arretrati. È probabile, anzi scontato, che l'aumento di 85 euro non avverrà in un'unica soluzione, ma che ci si arriverà per gradi. Nel 2017, per esempio, l'aumento potrebbe essere di una quarantina di euro (coerente con i fondi stanziati nella legge di Bilancio), per poi arrivare nel 2018 agli 85 euro medi. Al momento, tuttavia, le risorse presenti nella manovra per il 2018 non sarebbero sufficienti. L'intenzione del governo sarebbe quella di incrementarle con la prossima legge di stabilità, ma la Cgil chiede chiarezza sin da subito, quanto meno con uno spacchettamento del maxi fondo da 1,9 miliardi già stanziato, ma che deve coprire anche le assunzioni promesse da Matteo Renzi nel pubblico impiego e la stabilizzazione del bonus da 80 euro per le Forze dell'ordine. L'altro tema riguarda la legge Brunetta e i premi. La legge voluta dall'ex ministro della Funzione pubblica, prevede che i contratti non possano derogare alle norme imperative che riguardano gli statali. Dunque nemmeno a quella che prevede che il 50% delle risorse per il premi vadano al 25% dei dipendenti più bravi, mentre l'ultimo 25% non otterrebbe nessun incentivo economico. Questa impostazione, come prevede la bozza di verbale, sarà cambiata. Sarà restituito spazio alla contrattazione. I sindacati vorrebbero che questo principio valesse anche per il comparto dell'istruzione, dove la riforma sulla «Buona scuola» ha praticamente introdotto il principio della Brunetta per cui la legge è inderogabile dal contratto. Ma su questo punto il governo non avrebbe intenzione di cedere. Sarebbe questo, al momento, il principale ostacolo all'accordo.