Gli obiettivi/ Prossime mosse ripensare fisco e spesa pubblica

di Osvaldo De Paolini
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Giovedì 17 Agosto 2017, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 00:06
Un commento asciutto, come nello stile della casa, ma anche insolitamente compiaciuto: «Manteniamo un tasso di crescita consistente e persistente», ha osservato ieri l’Istituto di statistica nel presentare i dati congiunturali del Pil italiano, aumentato dello 0,4% nel secondo trimestre del 2017 con proiezione di crescita annuale attorno all’1,5%. Non è poco se si considera che ancora a fine 2016 le previsioni del governo oscillavano tra lo 0,7 e lo 0,9%. 
Vero è che l’Italia resta lontana dal 2,1% registrato nel primo trimestre 2011 ed è ancora sotto di ben 6,4 punti dai livelli pre-crisi d’inizio 2008; è tuttavia un fatto che l’aumento dello 0,4% è al suo terzo trimestre consecutivo mentre sono ormai dieci i trimestri di crescita senza interruzione, sia pure costellati da accelerazioni e qualche frenata. 
Comprensibile perciò la soddisfazione manifestata ieri dal premier Paolo Gentiloni e dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan; un merito peraltro ascrivibile anche al governo Renzi, che per primo ha avviato un processo di riforme che senza dubbio hanno contribuito a invertire un trend fortemente negativo per l’economia italiana.

Di fronte a questi numeri diventa più credibile l’intervento fiscale promesso dall’esecutivo per agevolare l’occupazione giovanile. Per dirla con le parole del presidente della Confindustria, gli ultimi dati sul Pil sono «oggettivi e incontestabili», tanto da far ritenere che l’inversione sia ormai strutturale e la duplice recessione un brutto ricordo.

Ma siamo davvero fuori dal tunnel? Sicuramente ne siamo usciti; per valutare la solidità del terreno sul quale stiamo camminando è però necessario confrontarsi con lo spazio che ci circonda. Anzitutto l’Eurozona, il cui Pil, che cresce ormai ininterrottamente da 17 mesi, nel secondo trimestre di quest’anno è aumentato dello 0,6%: una differenza certamente non astrale con il nostro 0,4%, che tuttavia non rassicura se consideriamo che su base annua la proiezione di Eurostat per l’area euro supera il 2,2%. Ciò vuol dire che la nostra crescita dell’1,5%, giustamente celebrata ieri, resta però sensibilmente al di sotto del valore medio, segnalando un faticoso inseguimento dei partner con tutto ciò che comporta in termini di apprezzamento dei mercati. I quali valutano positivamente i progressi compiuti dall’Italia (si veda la soddisfazione manifestata anche dagli operatori di Piazza Affari), ma si attendono anche adeguati miglioramenti in tempi non biblici, pena l’esclusione dai programmi d’investimento. 

E una delle riforme cui si guarda con maggiore attenzione, per gli effetti a cascata che può produrre, è quella della spesa pubblica, che più che ridotta andrebbe rimodulata in maniera più efficace allo scopo di migliorare i saldi di finanza pubblica così da stabilizzare la relazione tra debito e Prodotto lordo.

Senza dubbio ci aiuta in questa fase una produzione industriale che risulta essere tra le più brillanti (a giugno più 5,3% contro il 2,5% della Francia e il 2,1% della Germania), ma il fatto che la ripresa interessa prevalentemente le medie e grandi imprese manifatturiere mentre i piccoli commerci e l’artigianato continuano a soffrire, ci espone fatalmente ai rischi di un’economia a due velocità. E il fatto che sul fronte della disoccupazione, dove pure in questi tre anni sono stati compiuti progressi rilevanti (821 mila nuovi posti di lavoro, di cui almeno un terzo a tempo indeterminato), soffriamo ancora rispetto ai livelli ottimali (6%) raggiunti nel 2008, non è certo solo a causa della lentezza degli effetti delle riforme. Senza adeguati investimenti da parte dello Stato e senza incentivi fiscali oltre le flessibilità imposte, difficilmente l’occupazione in Italia riuscirà a chiudere il gap con gli anni migliori. Per non dire della riduzione dell’Irap, che andrebbe accentuata relativamente alle imprese diffuse, e del taglio netto del prelievo locale sugli immobili delle famiglie, diventato una sfida al buon senso.

Ben sappiamo che per fare tutto ciò sono necessarie risorse che oggi si fatica a individuare; ma il loro reperimento diverrebbe più facile in presenza di una stabilità di governo più marcata e di un dialogo meno litigioso tra forze politiche: non c’è altra via, se davvero si vuole che la crescita del Pil domestico acceleri fino ad agganciare il livello dei partner europei più forti. Anche perché nei prossimi mesi, visto lo stato di buona salute che l’economia europea va consolidando, la Bce non potrà che accompagnare la ripresa allentando l’azione di sostegno dei debiti sovrani smantellando il bazooka del Quantitative easing. E se per allora il Pil italiano non sarà cresciuto adeguatamente onde favorire un rapporto più equilibrato con i quasi 2.400 miliardi di debito (visto che ridurlo tout court sembra molto difficile), tanta fatica sarà servita a ben poco. Perché fatalmente si tornerebbe alla casella di partenza, con spread severi e nuovo isolamento nell’ambito dell’Unione.


 
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