Province, la riforma al rallentatore. Rischio caos su risorse e poteri

Province, la riforma al rallentatore. Rischio caos su risorse e poteri
di Luca Cifoni
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Martedì 8 Luglio 2014, 01:10 - Ultimo aggiornamento: 1 Agosto, 15:47
Dovevano essere prima abolite, poi ridotte, infine sono state riformate. Le Province hanno perso la caratteristica di enti sottoposti al voto dei cittadini ma per il resto non è cambiato nulla. Almeno per ora: la legge di riordino entrata in vigore l’8 aprile prevedeva che entro tre mesi fossero ridefinite le funzioni da svolgere, in un nuovo equilibrio con Stato centrale e Regioni. Per la stessa data, che è quella di oggi, era atteso un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) che doveva stabilire i criteri per individuare risorse finanziarie e umane da trasferire in base appunto alla nuova ripartizione delle funzioni. Tutto ciò non è ancora avvenuto: pochi giorni fa il ministro degli Affari Regionali Lanzetta ha scritto ai presidenti in carica chiedendo loro la «massima collaborazione» per assicurare nel periodo transitorio, la «continuità dell’erogazione dei servizi a favore dei cittadini». Il riferimento è in particolare alle funzioni «correlate alla sicurezza della popolazione (ad esempio in materia di prevenzione e gestione del rischio idro-geologico e del rischio sismico)». Si raccomanda «l’adozione di ogni iniziativa organizzativa idonea a preservare, in questa delicata fase, la piena operatività delle strutture».



Tutto come prima quindi? Fino a un certo punto. Entro il prossimo 30 settembre devono essere eletti non dai cittadini ma dai sindaci interessati i nuovi vertici provinciali (presidente e consiglio) nel caso in cui gli attuali organi siano in scadenza nel 2014: e questo processo parte senza che ci siano certezze su cosa esattamente le nuove istituzioni dovranno fare. Particolarmente delicata è la partita con le Regioni, ad esempio per compiti come la formazione con annessi fondi europei.



Insieme al nodo delle funzioni c’è quello delle risorse. In questi anni le Province hanno subito come Regioni e Comuni i tagli delle manovre di risanamento dei conti; in proporzione anche più degli altri enti territoriali. E sono state pesantemente colpite sul lato delle entrate, visto che la principale imposta di cui dispongono dipende dall’andamento delle immatricolazioni automobilistiche, crollate nello stesso periodo. Ecco quindi che l’incertezza istituzionale di un periodo transitorio prolungato, unita al diradarsi delle risorse finanziarie, rischia di creare una situazione di caos in alcuni territori, il che probabilmente spiega il richiamo del ministro Lanzetta. Ora il ministero degli Affari regionali (da cui naturalmente non dipendono i tagli di spesa) fa sapere che il Dpcm dovrebbe arrivare entro fine luglio. Ma proprio sul piano finanziario i segnali non sono confortanti. A Parma, escluse le voci incomprimibili come gli stipendi, restano in cassa da qui alla fine dell’anno 300 mila euro: non bastano per fronteggiare un’eventuale emergenza neve. A Grosseto ci sono seri problemi per acquistare il gasolio delle auto della polizia provinciale e di quelle della manutenzione stradale. Anche a Chieti non è garantito il piano neve, e nemmeno il riscaldamento delle scuole. A proposito di scuole, Genova per risparmiare ha deciso la chiusura il sabato. A Lecco balla il trasporto dei disabili, a Perugia è in forse la manutenzione dei bacini d’acqua come Tevere e Trasimeno.



Anche i sindacati sono in allarme, sia per i tagli sia per il ritardo del Dpcm: ieri Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uil-Fpl hanno manifestato davanti alle Prefetture di tutta Italia per chiedere «una vera riforma della Pa».