Pensioni, contributivo o penalizzazioni per l’uscita anticipata

Pensioni, contributivo o penalizzazioni per l’uscita anticipata
di Andrea Bassi
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Venerdì 22 Maggio 2015, 08:15 - Ultimo aggiornamento: 25 Maggio, 13:18
Ormai è un treno in corsa. Fermarlo ed invertire la marcia non sarà facile. Dunque tra «ottobre e novembre», come ieri ha spiegato in un tweet Matteo Renzi, la riforma Fornero subirà un pit stop con annessa revisione. L’intenzione è introdurre una clausola di flessibilità. Dare cioè la possibilità di lasciare in anticipo il lavoro rispetto ai 66 anni e 7 mesi di età che dal prossimo anno, stando alle regole attuali, saranno necessari per andare in pensione. Il compito che Renzi ha davanti è di quelli da far tremare i polsi. Toccare, anche poco, la riforma delle pensioni rischia di creare sconquassi nei conti dell’Inps. La Fornero, secondo le stime della Ragioneria generale dello Stato, permette un risparmio di 80 miliardi di euro. Permettere ai lavoratori di pensionarsi senza penalizzazioni a 62 anni invece che a circa 67, sempre secondo le stime di Ragioneria e Inps, potrebbe avere un costo di 45 miliardi. Più della metà dei risparmi della Fornero. Per mantenere l’equilibrio del sistema previdenziale, insomma, la pensione anticipata sarà possibile solo a patto di una penalizzazione degli assegni. Di quanto? Questo è il rebus da sciogliere. Un primo meccanismo allo studio del governo, come ha confermato ieri il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, è quello del ricalcolo interamente contributivo della pensione.



IL MECCANISMO

Questo significa che anche coloro che ancora possono ritirarsi con l’assegno parametrato all’ultima retribuzione percepita invece che ai contributi versati, potranno anticipare di qualche anno l’uscita dal lavoro a patto di consentire all’Inps di versare una pensione calcolata con il più penalizzante metodo contributivo. Questa possibilità, a dire il vero, è già prevista dalla legge Fornero per una sola categoria di lavoratori: le donne. E non a caso si chiama «Opzione donna». Teoricamente questa opportunità è ancora in piedi fino alla fine dell’anno, ma nella pratica, in mancanza di indicazioni del governo, l’Inps la reputa un’esperienza già chiusa. E, va detto, non di grande successo. Ad aver approfittato di questa possibilità, che permette di pensionarsi anche a 57 anni avendone 35 di contributi, sono state solo 25 mila lavoratrici. Capire la ragione non è difficile. Basta guardare qualche simulazione sull’effetto che il pensionamento anticipato con il ricalcolo contributivo può avere sull’assegno previdenziale. Una lavoratrice che nel 2014 aveva 58 anni e che aveva lavorato per 38 anni guadagnando 30 mila euro l’anno, andando in pensione come previsto dalla legge Fornero nel 2018, incasserebbe 24.510 euro l’anno circa, poco più di 1.800 euro lordi al mese per 13 mensilità.



GLI EFFETTI

Se quella stessa lavoratrice scegliesse l’opzione donna e accettasse di ottenere una pensione interamente contributiva, il suo assegno annuale scenderebbe a 17.800 euro circa, poco più di 1.360 euro al mese tredicesima compresa. La perdita, insomma, sarebbe di circa il 27%. Aumentando gli anni di contribuzione, lasciando per esempio a 62 anni, età considerata ottimale dal governo nel suo piano di flessibilità, il taglio potrebbe scendere fino ad un 20% in media. Il governo, comunque, ha messo i tecnici a lavorare su questo schema accanto ad un altro: quello previsto dalla proposta di legge Damiano-Baretta. Si tratta di un provvedimento in discussione da lungo tempo alla Camera e che prevede un sistema abbastanza semplice. Chi va in pensione come previsto dalla Fornero a 66 anni e 7 mesi, si prende l’assegno intero. Chi vuole andare prima deve rinunciare per ogni anno di anticipo ad un «tot» del suo assegno. Il quantum è legato anche ai contributi. Un anno di anticipo, avendo versato 35 anni di contributi, costerebbe una penalizzazione del 2%.



Se gli anni di lavoro sono stati 36, la penalizzazione scenderebbe all’1,7%. Se si volesse andare via a 62 anni avendone lavorati 35, bisognerebbe rinunciare all’8% della pensione. Sempre uscendo a 62 anni, ma avendo lavorato per esempio 40 anni, allora la penalità sarebbe limitata al 3%. Anche questo secondo schema, con penalizzazioni inferiori a quelle del ricalcolo completamente contributivo, è sul tavolo di Palazzo Chigi. Ma una volta che sarà scelto il meccanismo, sarà stata fatta solo la metà del lavoro. L’altra metà starà nel convincere i partner europei che questa «manutenzione» sia in grado non solo di tenere in equilibrio i conti dell’Inps nel lungo periodo, ma anche di non comportare nell’immediato costi per le casse dello Stato.
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