Pensioni, ecco chi può averla anticipata: le ipotesi di accesso per donne e disoccupati

Pensioni, ecco chi può averla anticipata: le ipotesi di accesso per donne e disoccupati
di Luca Cifoni
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Lunedì 21 Settembre 2015, 06:41 - Ultimo aggiornamento: 22 Settembre, 08:52
Correttivi limitati, a beneficio dei lavoratori che hanno perso il posto o rischiano di perderlo e delle donne interessate a lasciare comunque il lavoro in anticipo rinunciando ad una fetta consistente di pensione. Il governo ha riaperto il dossier flessibilità in uscita confermando però la forte attenzione all'equilibrio dei conti. I meccanismi tecnici già definiti ed applicabili sono essenzialmente due: il cosiddetto prestito pensionistico, che a suo tempo aveva già ricevuto un informale via libera dell'Unione europea, purché risultassero coperte le maggiori spese legate all'anticipo del trattamento al lavoratore, e l'opzione donna, che una circolare restrittiva aveva limitato alle lavoratrici in possesso dei requisiti entro il 2014 e ora potrebbe essere prolungata per un anno o anche di più. In alternativa potrebbe essere previsto l'accesso al pensionamento con i vecchi requisiti e l'assegno decurtato (di almeno il 3-3,5% l'anno) ma solo per coloro a cui mancano non più di 2-3 anni al traguardo. L'eventuale necessità di reperire coperture finanziarie interne al sistema previdenziale riporterebbe di attualità l'idea di un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte (più incisivo di quello già in vigore). Ma lo stesso premier si è espresso contro questa ipotesi.



Ai senza lavoro 800 euro al mese

Più che uno strumento di flessibilità generalizzata, il cosiddetto prestito pensionistico è una forma di sostegno a coloro che perdono il lavoro prima di aver maturato i requsiti per la pensione e non riescono più a trovarne un’altro. In questa situazione, una volta esaurite le altre indennità di disoccupazione disponibili, il lavoratore interessato potrebbe contare su un assegno intorno ai 700-800 euro al mese per un periodo di due-tre anni. Una volta conseguito il diritto effettivo alla pensione, l’interessato sarebbe chiamato a restituire gradualmente una parte delle somme percepite (in una proposta di legge già formalizzata si parlava dei due terzi) attraverso mini-prelievi sulla pensione vera e propria. La rimanente quota dell’assegno sarebbe invece a carico dello Stato.



Finestra a 57 anni per le lavoratrici

L’opzione donna è una forma di flessibilità presente da molti anni nel nostro ordinamento. Venne introdotta con la riforma Maroni-Tremonti del 2004 e inizialmente fu usata pochissimo. Permette alle lavoratrici con 57 anni di età e 35 di contributi di accedere alla pensione di anzianità con un assegno calcolato interamente con il sistema contributivo. La decurtazione effettiva, che dipende dalla singola carriera, è comunque sensibile e può arrivare al 25-30 per cento. Dopo la riforma Fornero che ha bruscamente innalzato i requisiti l’opzione è diventata più appetibile, pur in presenza della penalizzazione. La scadenza per usufruirne era fissata dalla legge al 2015, ma è stata di fatto anticipata di un anno con un’interpretazione restrittiva, che ora potrebbe essere rimossa. Non è poi escluso un ulteriore prolungamento.



Troppo costosa l'uscita mobile

Non entrerà nel nostro ordinamento il principio generale della flessibilità previdenziale, in base al quale i lavoratori possono scegliere liberamente il momento dell’uscita in un certo intervallo, a prezzo di una pensione più bassa. Proposte come quella elaborata da Cesare Damiano e Pier Paolo Baretta, che prevede l’uscita dai 62 anni con una decurtazione del 2 per cento per ogni anno che manca ai 66, appaiono troppo costose per gli equilibri futuri dei conti. Una opzione di questo tipo potrebbe essere studiata solo per categorie particolari di lavoratori in difficoltà occupazionale, distanti non più di due o tre anni dal traguardo della pensione. Il taglio dell’assegno dovrebbe essere tale da compensare in prospettiva le maggiori uscite, e dunque sarebbe superiore al 3 per cento l’anno.



Esodati, si valuta la settima tutela

Il nodo degli “esodati” ha rappresentato in questi anni la principale criticità della riforma previdenziale del 2011. Si tratta di coloro che tramite accordi aziendali o personali avevano già lasciato il lavoro, o programmato di farlo, contando di poter accedere alla pensione con i precedenti requisiti più favorevoli. Per una parte di queste persone si è quindi materializzata la prospettiva di restare a lungo senza né stipendio né pensione. Uno stanziamento complessivo di 9 miliardi ha permesso di salvaguardare 120 mila soggetti, in sei distinte fasi. Ora si ragiona su una settima salvaguardia, che dovrebbe attingere alle risorse finanziarie non utilizzate nelle precedenti operazioni. Il ministero dell’Economia sostiene che i fondi non impegnati devono tornare al bilancio dello Stato, ma si è detto comunque disponibile a valutare una soluzione.