Pensioni, part time agevolato per chi è vicino all'uscita. Donne fuori gioco

Pagamento delle pensioni a Napoli
di Luca Cifoni
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Giovedì 14 Aprile 2016, 08:10 - Ultimo aggiornamento: 13:29

Era nata un po' come un ripiego: la formula del lavoro part time a tre anni della pensione aveva trovato posto nell'ultima legge di Stabilità in sostituzione delle norme sull'uscita flessibile, rimandate invece al 2017. Ora che il ministero del Lavoro ha firmato il relativo decreto di attuazione (o meglio, tra qualche giorno, dopo la sua registrazione alla Corte dei Conti) si potrà iniziare a capire se questa opportunità interessa davvero gli italiani bloccati dai severi requisiti della riforma Fornero oppure è destinata sostanzialmente a fallire, come è avvenuto in passato per operazioni del genere.

Lo schema è piuttosto semplice: i dipendenti privati che entro il 31 dicembre 2018 maturano i requisiti per la pensione di vecchiaia con l'accordo del datore di lavoro possono decidere di ridurre l'orario di lavoro in misura compresa tra il 40 e il 60 per cento, con conseguente perdita sulla retribuzione. Ma la decurtazione sarà in parte compensata dai contributi a carico del datore di lavoro, che invece di essere girati all'Inps andranno direttamente, esentasse, nella busta paga dell'interessato. A sua volta lo Stato verserà una quota equivalente a titolo di contribuzione figurativa: in questo modo non ci saranno ammanchi nei versamenti e al momento di uscire a pieno titolo il lavoratore si troverà stessa pensione a cui avrebbe avuto diritto in condizioni normali.

 

I NODI
Il primo nodo è quindi la necessità di un'intesa tra azienda e dipendente: possibile probabilmente nelle grandi imprese, più problematica per ragioni organizzative in quelle piccole. I potenziali interessati sono - tra gli uomini - coloro che entro la fine del 2015 avevano compiuto i 63 anni e 7 mesi, ovvero tre anni in meno del requisito di età per la pensione di vecchiaia. Più complicata - come fa notare la Uil - la situazione per le donne, molte delle quali di fatto non si troveranno in condizione di sfruttare questa opzione. Infatti quelle nate negli anni 1951 e 1952 hanno già avuto la possibilità di andare in pensione in base a regole più graduali di quelle dei maschi (le sessantaquattrenni ci potranno andare quest'anno sfruttando una clausola “eccezionale”); se invece la data di nascita è il 1953 allora la vecchiaia potrà scattare solo dopo il 2018, per il processo di allineamento con gli uomini. Agli interessati è richiesto anche che il rapporto di lavoro sia a tempo pieno e indeterminato e che risulti versata la contribuzione minima per la vecchiaia ovvero 20 anni.

Coloro che rientrano nei requisiti dovranno poi valutare la convenienza economica. Il taglio della retribuzione corrisponde alla riduzione di orario, ma l'effetto è attutito da due fattori: da una parte la somma corrispondente ai contributi del datore di lavoro, su cui non si pagano imposte, dall'altra il fatto che con redditi più bassi si riduce il prelievo fiscale. Così un lavoratore con stipendio lordo di 2 mila euro al mese, che opti per un part time al 40 per cento (rinunciando quindi al 60 per cento) incasserà in più 288 euro (il 24 per cento della retribuzione persa, in corrispondenza dell'aliquota a carico del datore di lavoro). Inoltre verserà in proporzione meno Irpef ed alla fine avrà una perdita poco al di sotto del 30 per cento. Con orario di lavoro al 50 per cento e stipendio di 2.500 euro lordi al mese la decurtazione sarà del 21 per cento, con il 40 per cento e 3.000 euro del 14.

IL CONTRATTO
Una volta fatta la scelta e ottenuta dall'Inps la certificazione del diritto alla vecchiaia datore di lavoro e dipendente stipuleranno il “contratto di lavoro a tempo parziale agevolato”, indicando la misura della riduzione d orario. Se la formula avesse successo qualcuno potrebbe restare fuori, visto che per la contribuzione integrativa lo Stato ha messo a disposizione somme limitate: 60 milioni per il 2016, 120 per il successivo e di nuovo 60 per il 2018.
Il part time agevolato non entusiasma comunque i sindacati, che insistono per una vera revisione della legge Fornero. Maurizio Petriccioli della Cisl lamenta l'esclusione dei dipendenti pubblici mentre la Uil con Domenico Proietti parla di «piccolo passo».