Padoan: no alla cultura dell’austerity, adesso l’Europa cambi la rotta

Padoan: no alla cultura dell’austerity, adesso l’Europa cambi la rotta
di Andrea Bassi
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Lunedì 1 Febbraio 2016, 07:48 - Ultimo aggiornamento: 2 Febbraio, 12:56

Bisogna per un attimo riavvolgere il nastro. E tornare a una settimana fa, quando la Commissione europea ha diffuso il rapporto sulla sostenibilità delle finanze pubbliche dei Paesi del Vecchio Continente. Un documento finito sulle prime pagine dei giornali come l’ennesimo voto di insufficienza per l’Italia nella materia sulla quale Roma, almeno secondo i giudizi europei, arranca di più: il debito pubblico. La sintesi è che il passivo italiano sarebbe ancora troppo alto ed elevato il rischio per la sua sostenibilità. 

IL PERCORSO
Una semplificazione che, per il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, non rende giustizia. «Ancora una volta», dice, «la Commissione europea ha ribadito che nel lungo termine il nostro debito pubblico è il più sostenibile di tutti. Quello che il rapporto ha voluto segnalare è che con un debito così alto siamo più esposti agli shock». 
E questa, nel pensiero di Padoan, «non è una novità», il governo ne è consapevole e per questo «ha collocato il debito su una traiettoria discendente e dopo otto anni di crescita, nel 2016 per la prima volta scenderà in proporzione al Pil». In realtà, il messaggio recapitato all’Italia con quel rapporto, sembrerebbe anche un altro. Proprio in virtù del debito alto, è stata avanzata la richiesta di una «forte determinazione» nel miglioramento della posizione di bilancio. Insomma, non è l’atteso giudizio sulle clausole di flessibilità usate dall’Italia nell’ultima manovra, ma sembrerebbe comunque una richiesta di riprendere il percorso, rinviato più volte dal governo, del pareggio strutturale dei conti.
  
«La responsabilità di bilancio», per Padoan, «non è un concetto sbagliato, e l’Italia si sta dimostrando molto responsabile». Ma per il ministro dell’Economia, «in Europa la cultura dell’austerity è ancora forte». Il punto, secondo il ragionamento, «è che manca un meccanismo di aggiustamento simmetrico: a fronte di uno shock l’aggiustamento si scarica interamente sul lavoro, attraverso la disoccupazione che spinge in basso i salari». 

LA CRISI 
Insomma, perché l’Europa sia una vera unione «dobbiamo introdurre meccanismi che distribuiscono l’impatto degli shock». 
Uno di questi meccanismi, l’Unione bancaria, in realtà sta creando più problemi, almeno in Italia, di quanti ne abbia al momento risolti. In un Paese dove era dagli anni ’20 del secolo scorso che il fallimento di una banca non bruciava i soldi dei suoi risparmiatori, le nuove norme europee hanno costretto a pagare il conto del default di quattro istituti a una platea di obbligazionisti, spesso ignari del rischio che correvano acquistando quegli strumenti. E qualche effetto si è fatto vedere, come il deflusso di 14 miliardi di depositi registrato a novembre dalla Banca d’Italia. Tanto è vero che persino il governatore Ignazio Visco ha chiesto di rivedere le regole sui salvataggi bancari introdotte dalle direttive europee e recepite nell’ordinamento italiano. Una richiesta sulla quale per ora il ministro preferisce astenersi. Ma, ragiona, «l’Unione bancaria è stata introdotta sottovalutando l’impatto di breve termine delle novità sulla fiducia nel sistema del credito. Adesso», è la linea, «siamo in una fase di transizione che deve essere graduale per tenere conto del processo di apprendimento e di adattamento a una diversa valutazione dei rischi». Inoltre, secondo Padoan, «bisogna procedere con più energia verso l’introduzione di un meccanismo europeo di garanzia dei depositi». Proprio quello su cui la Germania frena. Berlino chiede che, prima di compiere questo passo, i bilanci delle banche, soprattutto quelle italiane, vengano ripuliti. Il governo ha provato a farlo attraverso la garanzia di Stato sulla cartolarizzazione dei crediti in sofferenza che zavorrano i conti degli istituti. Eppure la soluzione di compromesso raggiunta dopo lunghissime trattative con la Commissione europea non sembra del tutto convincere, i mercati hanno punito i titoli delle banche italiane. 

I MERCATI
«La reazione dei mercati finanziari non credo vada presa come un giudizio», sostiene il ministro, «perché sui mercati c’è molta speculazione che si incrocia con il nervosismo e la volatilità causati dall’andamento del petrolio e delle economie maggiori. La gestione delle sofferenze», aggiunge, «richiederà del tempo e sarà facilitata sia dalle misure introdotte dal governo con la garanzia sui crediti, sia dal ritorno alla crescita». 
Quest’ultima per Padoan è una sorta di mantra. Perché «per metterci alle spalle il peso del debito dobbiamo tornare non solo a crescere, ma a farlo a ritmo più intenso del passato», eliminando tutti i «fattori d’intralcio», come «le alte tasse e la burocrazia che hanno frenato le imprese».
 

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