La spinta che manca/ La ripresa c’è ora si cambi il mercato del lavoro

di Romano Prodi
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Lunedì 28 Agosto 2017, 00:38
In quest’ormai tarda estate il mondo naviga in una direzione sorprendente, con una profonda divergenza fra l’andamento della politica e quello dell’economia. Dal punto di vista politico non vi potrebbe essere un quadro peggiore. Restano infatti aperti tutti i problemi e nessuna soluzione è in vista. La tensione nella penisola coreana rimane altissima, il governo americano ha deciso di inviare altre truppe in Afghanistan con l’illusione di risolvere una guerra senza fine, nulla di nuovo per la soluzione della guerra in Libia, mentre continuano i conflitti interni in Ucraina e tende ogni giorno a trasformarsi in scontro aperto la tragedia politica venezuelana. Il tutto con un presidente americano che ogni giorno cambia idea e umore.

Se passiamo all’economia il quadro di questo 2017 appare del tutto differente: la crescita mondiale supererà quest’anno il 3,5% e tutte le economie dei 40 maggiori paesi del globo termineranno l’anno con il segno positivo. Anche se naturalmente con aspetti quantitativi differenti. Le grandi economie asiatiche aumenteranno tra il 6 e l’8%, gli Stati Uniti intorno al 2%, mentre su valori simili crescerà l’economia dei paesi della zona euro. Desta anche un certo interesse vedere che il segno positivo accomuna economie come il Giappone, la Russia e il Brasile, che nel passato erano state vittime di crisi o di lunghi periodi di stagnazione. 
Pur avendo sottolineato con soddisfazione la fine della lunga crisi europea dobbiamo però ricordare che la media si compone di dati diversi fra di loro: si passa dal 3% della Spagna, al 2% della Germania mentre un poco più sotto si colloca la Francia. Finalmente la ripresa ha raggiunto anche l’Italia ma il nostro paese rimane stabilmente tra gli ultimi della classifica europea. 

Penso tuttavia che la situazione oggettiva in cui ci troviamo ci permetta obiettivi più ambiziosi.
Se confrontiamo le regole del mercato del lavoro non troviamo infatti una maggiore rigidità dell’Italia rispetto ai nostri diretti concorrenti. Non sostanziali differenze rispetto alla Germania e le differenze rispetto alla Francia giocano a nostro favore. Quanto al costo del lavoro, compresi i costi previdenziali, stiamo meglio di entrambi questi paesi, pur collocandoci a un livello più elevato della Spagna. 
L’inizio della nostra pur timida ripresa è stato affidato all’export, anche se la troppo corposa rivalutazione dell’Euro renderà in futuro più difficili le nostre esportazioni. Sotto quest’aspetto il confronto dei giorni scorsi fra i responsabili delle grandi banche centrali a Jackson Hole non è stato rassicurante, dato che la Riserva Federale americana ha mandato un messaggio di incertezza sulla politica di aumento dei tassi di interesse e la Banca Centrale Europea è stata ancora più cauta sulle proprie decisioni future. Il risultato è che il rapporto fra Euro e Dollaro è ora 1,20: il che costituisce a mio parere un livello oltre il quale la perdita di competitività ci provocherà danni rilevanti.

Per fortuna, negli ultimi mesi, anche il mercato interno ha dato segni di risveglio. Prima di tutto con gli investimenti. Gli incentivi del governo e la strategia 4.0 stanno dando frutti. Il che è importante non solo per i produttori di beni strumentali, vitale per l’Italia, ma anche perché i maggiori investimenti si traducono in maggiore produttività. È proprio la scarsa produttività che più ci ha danneggiato negli scorsi anni. Nelle ultime settimane cominciano a riprendere anche i consumi, pur essendo la loro ripresa limitata dallo scarso potere d’acquisto dovuto all’ancora elevato livello di disoccupazione e alla stagnazione dei salari.

<HS9>Rimangono invece al di sotto di ogni aspettativa l’edilizia e i lavori pubblici. Mentre nel caso dell’edilizia privata la ripresa sarà lenta e, in ogni caso, ben difficilmente la domanda si avvicinerà a quella precedente la crisi, gli investimenti pubblici possono e devono essere aumentati. Siamo sepolti dai progetti, vi sono in serbo molte delle risorse necessarie a metterli in atto ma i lavori non partono. Paralizzate dalle incertezze relative al codice degli appalti, dai ricorsi senza freno e da una burocrazia impaurita nel prendere decisioni, le nostre infrastrutture (eccetto casi straordinari come l’alta velocità) si allontanano sempre più dagli standard europei. Mi auguro che la legge finanziaria in preparazione tenga conto che senza l’edilizia e i grandi lavori non vi può essere un consolidamento della ripresa né dei consumi né dell’occupazione. 
In questi giorni si dibatte molto sugli incentivi all’occupazione giovanile.

Capisco la battaglia per potere allungare il limite d’età dei giovani che potranno usufruire di possibili incentivi ma è bene ricordare che tutte le misure temporanee hanno effetti limitati sul futuro della nostra economia. Unicamente con modifiche permanenti del mercato del lavoro si possono affrontare in modo duraturo i problemi della nuova generazione. Anche perché solo una prospettiva di occupazione stabile può dare concretezza al necessario aumento dei consumi. Dato che “stabile” vuol dire “stabile” mi sembra doveroso ricordare che l’aumento del lavoro precario non ha lo stesso effetto di quello duraturo. Poiché il nostro sistema economico ha raggiunto un grado di flessibilità tale per cui nessuno può dire che il rapporto di lavoro sia eterno e indissolubile, se vogliamo dare una prospettiva vera ai giovani bisogna che il lavoro “stabile” costi sensibilmente meno di quello precario. A queste condizioni il mercato del lavoro potrà dare prospettive migliori ai giovani e ai meno giovani.
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