Manovra, per i giovani taglio dei contributi e stipendi più pesanti

Manovra, per i giovani taglio dei contributi e stipendi più pesanti
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Lunedì 21 Agosto 2017, 07:55 - Ultimo aggiornamento: 22 Agosto, 08:34

IL PIANO
ROMA La soluzione tecnica non è ancora stata decisa. Sul tavolo le ipotesi restano aperte. Ma una cosa è certa: il taglio del cuneo fiscale per rendere più conveniente l'assunzione dei giovani sarà strutturale. La riduzione dei contributi per i neo assunti rimarrà in vigore per sempre, e non sarà limitata a tre anni come era stato nel 2015 quando il governo aveva deciso uno sgravio totale, ma limitato nel tempo, per lanciare il jobs act. Ieri parlando al meeting di Rimini, il premier Paolo Gentiloni ha sottolineato che «servono misure shock per l'ingresso nel mercato del lavoro dei giovani». Ha poi spiegato che «la prossima legge di bilancio sarà un passaggio chiave per concludere in modo ordinato la legislatura», e che «permetterà alcune limitate misure per accompagnare la crescita, con interventi molto selettivi» incentrati soprattutto sull'accesso dei giovani al mondo del lavoro con «incentivi permanenti, stabili». La conferma, appunto, che le misure saranno strutturali.
LE ALTERNATIVE
Tra Tesoro e Palazzo Chigi si continua a ragionare fino a dove si può portare l'asticella dell'intervento. La prima ipotesi è di un taglio del 50% per due o tre anni dei contributi per i neo assunti che abbiano meno di 32 anni di età. Come detto si tratterebbe di una misura permanente. «Il dimezzamento dei contributi», spiega il vice ministro dell'Economia, Enrico Morando, «dovrebbe riguardare sia le imprese che i lavoratori». In altri termini, per i primi due o tre anni di contribuzione, la quota versata dalle imprese all'Inps scenderebbe da circa il 24% al 12%, mentre quella del lavoratore da poco più del 9% al 4,5% circa. Le aziende spenderebbero meno soldi per assumere i giovani, mentre i lavoratori guadagnerebbero qualcosa in più. Una misura diversa, sotto questo punti di vista, da quella assunta con il jobs act, quando ad essere azzerati furono solo i contributi per le imprese. I minori versamenti all'Inps non inciderebbero sulla futura pensione, perché a versare le somme mancanti all'Istituto di previdenza sarebbe lo Stato. Da qui la necessità di trovare delle coperture finanziarie all'operazione che, disegnata in questo modo, avrebbe un costo tra i 900 milioni e i due miliardi di euro l'anno. Quello su cui la discussione nel governo è ancora aperta, è cosa fare a partire dal terzo (o dal quarto anno, nel caso in cui la decontribuzione fosse di tre anni) quando la misura cessa e lavoratore e impresa tornano a versare le aliquote ordinarie. Molto dipenderà dalle risorse a disposizione, che ieri ha confermato Gentiloni sono «limitate».
IL NODO COPERTURE
Ma se grazie alla maggior crescita economica, o ad una maggiore flessibilità da parte dell'Unione Europea, ci dovessero essere a disposizione più risorse, sul tavolo c'è già un piano bis, ipotizzato proprio dal vice ministro Morando. L'idea è di proseguire con gli sgravi, riducendo strutturalmente i contributi di quattro punti: due a favore dell'impresa e due a favore del lavoratore. È evidente che si tratta di una misura con un costo non irrilevante e crescente nel tempo, visto che nel medio-lungo periodo il taglio dei contributi diverrebbe strutturale per tutti i lavoratori. C'è poi un altro tema. «In questi giorni», spiega ancora Morando, «da diverse parti è stato sollevato il rischio che qualcuno possa licenziare i lavoratori assunti con gli sgravi legati al jobs act per sostituirli con lavoratori assunti grazie alla nuova decontribuzione. Nulla vieta», dice il vice ministro dell'Economia, «di inserire una norma di salvaguardia che escluda dal beneficio le aziende che negli ultimi due anni hanno licenziato».
Andrea Bassi
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