I tagli alle imposte, il paradosso dell’Europa che calpesta i Parlamenti

di Giulio Sapelli
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Giovedì 3 Settembre 2015, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:03
La questione europea diviene sempre più di ordine culturale. Coloro che studiano le organizzazioni o vivono dentro di esse, e via via diventano consapevoli del modo in cui agiscono, assumono decisioni, rispondono alle conseguenze delle medesime; coloro che riflettono insomma sulla struttura decisionale che li circonda, non possono non essere consapevoli che ciò che decide è quindi la cultura di quanti, in tali organizzazioni, possono assumere delle decisioni. E le decisioni si assumono non solo a livello apicale ma nei livelli intermedi e anche in quelli più bassi, che spesso sono i più importanti e decisivi nella vita di ogni giorno. Ebbene, dopo le nuove pressioni giunte da Bruxelles, peraltro attraverso fonti anonime, contro la scelta di tagliare le tasse sulla casa annunciate dal governo italiano, possiamo ben dire che la crisi dell’Europa è ormai crisi culturale delle sue tecnostrutture ad ogni livello decisionale.

Siamo cioè dinanzi all’emersione di una trasformazione epocale nei rapporti tra l’Europa e il Sud del mondo. Ossia all’emergere di un fenomeno migratorio che ormai non è più solo mediterraneo, ma che è anche balcanico e che rende molto ben evidente che l’Europa è ormai cinta come in una morsa che incomincia dall’Hearthland, ossia da quella terra euro-asiatica che inizia dalla Turchia e finisce in Afganisthan, e prosegue attraverso il Mediterraneo passando per l’Africa.



Un’Africa che non è solo quella del Nord, ma anche quella del “cuore di tenebra” sub-sahariano. Insomma si sta rovesciando il mondo. Ebbene, che cosa fa l’Europa? I suoi leader massimi cercano ognuno una soluzione che salvi il loro proprio particulare. Chi sceglie i siriani, chi invece preferisce gli afgani e via dicendo. Chi invece non preferisce nessuno e non vuole più addirittura avere nel suo seno quelli che ha già anche se sono di razza bianca (vedi le notizie che giungono dal Regno Unito). Ma i livelli intermedi dell’Europa, ben al caldo in quell’alveare di cellette burocratiche superpagate in quel di Bruxelles, di questo cambiamento del mondo neppure si accorgono. La loro passione sono la dimensione e le lunghezze dei molluschi oppure, argomento altrettanto serio, che tipi di tassazione devono imporre ai loro cittadini i governi europei.



Senonché la parola governo nella cultura della struttura eurocratica non è intesa secondo il modello culturale del costituzionalismo moderno, vale a dire la divisione dei poteri, dove il potere esecutivo risponde al potere legislativo e il potere legislativo promana dalla sovrana volontà dei cittadini elettori secondo il principio di maggioranza. Per la tecnostruttura europea le prerogative del costituzionalismo moderno non esistono; esistono quelle, e solo quelle, di un economicismo intrusivo che riproduce se stesso attraverso i riti liturgici dell’elaborazione statistica che diventa un elemento totalizzante e che si vorrebbe dotare di un potere assoluto.



E’ inutile dire che siffatta cultura sta diventando un problema grave, gravissimo perché sta svuotando dall’interno ciò che rimane delle fondamenta democratiche della casa europea. Codesta nuova classe sociale costituita dai funzionari eurocratici - che non a caso tanto spaventava la signora Thatcher che in ciò trovava giustificazione nel suo rifiuto della moneta unica - si crede dotata di poteri illimitati che nascono da quel vuoto pneumatico che è l’assenza di legittimazione democratica. Ma queste continue invasioni della tecnostruttura in un campo che non è il suo, alla lunga possono distruggere la fiducia che i cittadini hanno riposto nelle istituzioni che essi stessi hanno votato. Pacta sunt servanda, ossia che si sia o meno d’accordo sul contenuto dei patti economici che reggono il castello della politica economica europea, non si può che convenire che, finché tali patti non sono mutati, occorre rispettarli. I conti, insomma, alla fine devono tornare senza sbavature e secondo i patti firmati. Ma il modo, la forma con cui i singoli governi devono rispettare quei patti, ebbene tutto ciò è materia appunto della decisione sovrana del potere legislativo ed esecutivo dei singoli Stati nazionali che a loro volta si reggono attraverso chiari processi democratici.



Ma la coazione a ripetere è troppo forte e per gli oscuri funzionari dei corridoi dell’immensa e tortuosa burocrazia eurocratica, i governi, i parlamenti non esistono; o se esistono sono dei pericolosi nemici di cui non bisogna avere rispetto e che si deve sempre essere pronti a rimbrottare senza alcuna decenza. Il tutto mentre il mondo, il vecchio mondo, sta crollando. No, così non va: dobbiamo tornare a pensare in grande. L’Europa, il mondo, meritano un’altra cultura.