Risposte mancate/ Per raddrizzare il Paese si deve partire dal Sud

di Gianfranco Viesti
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Giovedì 7 Giugno 2018, 00:00
Per capire il Mezzogiorno, i suoi problemi, le sue potenzialità, bisogna alzare lo sguardo. Uscire dalla quotidianità e guardare indietro, ai grandi mutamenti che sono avvenuti nel XXI secolo; e contemporaneamente molto avanti, per capire ciò che può accadere e che cosa si può fare per costruire concretamente un futuro migliore. Moltissimo è cambiato.

I paesi emergenti dell’Asia e dell’Europa hanno stravolto le convenienze localizzative nelle regioni deboli; l’innovazione tecnologica a matrice digitale spinge la concentrazione delle attività economiche nelle aree urbane più forti. Di grandissimo rilievo sono le trasformazioni demografiche: la bassa natalità, l’assai modesta presenza al Sud degli immigrati e i flussi in forte aumento di emigrazione di giovani verso il Nord e l’estero disegnano un futuro di sensibile riduzione e invecchiamento della popolazione. Una sfida inedita e gravida di conseguenze: la popolazione al Sud non diminuisce da secoli.

<HS9>Questi sono gli scenari con cui una seria azione di governo deve confrontarsi. Non per promettere soluzioni a tutto a breve; ma per disegnare politiche e misure all’altezza di queste sfide. Non con un atteggiamento compensativo, assistenziale; ma per invertire la rotta. Sapendo e proclamando che senza il contributo del Mezzogiorno il tasso di crescita dell’intero paese non potrà che restare assai modesto, al di sotto di quello degli altri paesi europei; senza riuscire così a risolvere i grandi problemi dell’inclusione e della disuguaglianza, alla radice del rancore e della sfiducia di tanti italiani.

Di questi temi, come già sottolineato, non c’è traccia nel contratto di governo (né, per la verità, c’è stata molta traccia anche nell’azione di governo degli ultimi anni). Non valgono i veloci richiami in aula del Presidente del Consiglio alle annose questioni dei fondi strutturali; né è chiaro cosa potrà fare il Ministero “per il Sud”. Non si tratta di scrivere un libro dei sogni; ma di avere ben chiare due grandi questioni. La prima attiene alle imprese, alla crescita del loro numero e della loro qualità (produttività), e quindi della loro domanda di lavoro.

Le politiche “per lo sviluppo”, pur in un quadro comune, non possono che essere diversificate fra aree dove l’economia è più forte e le imprese più dense, e aree in cui queste condizioni non ci sono. Sarebbe stato ad esempio utile individuare precise linee strategiche, di carattere territoriale, per la Banca degli Investimenti proposta al punto 5 del contratto; indicare interventi per la diffusione dell’innovazione e per il sostegno all’imprenditorialità; politiche per l’attrazione di investimenti. Ma anche, molto, politiche per le città, ed in particolare per le grandi città del Sud: è nelle economie urbane che crescono le imprese dei servizi avanzati che sono gran parte dell’economia di oggi e di domani. Piaccia o no, una parte rilevante del futuro dell’Italia si gioca nel Mezzogiorno.

La seconda attiene alla rete dei servizi per i cittadini e le imprese. Vi sono differenze molto forti fra Nord e Sud, nella quantità e nella qualità. In parte dipendono da dotazioni infrastrutturali assai dispari, che da decenni dovrebbero essere perequate (stando anche alla legge sul federalismo fiscale, anche su questo inattuata): reti ferroviarie, ma anche presidi sanitari. In parte dipendono dai servizi che sono effettivamente erogati: i treni che circolano sui binari, le prestazioni sanitarie disponibili per i cittadini. Negli ultimi anni questi ultimi divari si sono aggravati (clamoroso il caso dell’università); con la crisi delle finanze pubbliche i tagli maggiori ai servizi – attraverso un coacervo di norme anche regolamentari – sono stati effettuati al Sud. Non vi è cenno nel contratto di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti a tutti i cittadini italiani, dall’asilo nido all’assistenza per gli anziani; né, tantomeno, degli investimenti pubblici da realizzare nel Mezzogiorno nei prossimi anni, insieme ai fondi europei.

Sono lo sviluppo delle imprese e le reti di servizio che possono migliorare la qualità della vita nei grandi e piccoli centri del Sud; favorire la natalità, mantenere i giovani (e attrarre intelligenze e capacità dall’esterno), consentire un invecchiamento dignitoso. Così invertire gradatamente la rotta. Scongiurare il declino demografico; ma anche economico e sociale; della fiducia e delle aspettative. Con il suo voto il Sud ha espresso, nei modi più civili, una protesta per l’essere ormai diventato una “regione che non conta”, una preoccupazione per il suo futuro. Non sarà possibile blandire gli elettori con qualche contentino: la loro protesta va preso molto sul serio.
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