Il futuro dell’auto/ Piano industriale le tante incognite anche sull’Italia

di Giuseppe Berta
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Martedì 24 Luglio 2018, 01:00
Quando si verifica un passaggio delicato al vertice di una grande impresa, è chiaro che ci si deve appellare alle ragioni della continuità.
Allo scopo di salvaguardare la stabilità aziendale. Proprio quanto è avvenuto con Fiat Chrysler, che nei suoi comunicati si è premurata di sottolineare come il conferimento della maggiore responsabilità gestionale a Mike Manley si situi in un rapporto di continuità con la leadership di Sergio Marchionne. Infatti a lui toccherebbe di attuare il piano industriale che Marchionne ha potuto soltanto illustrare nella presentazione avvenuta il 1° giugno scorso.

Quanto sta avvenendo in queste ore a Torino sembra però pregiudicare la possibilità di un avvicendamento piano e senza scosse. Anzitutto perché, come è già stato notato da più parti, non è forse nemmeno possibile parlare di una successione di Marchionne. Il suo stile di direzione è apparso da subito inimitabile: non siamo infatti davanti a un manager tipico del mondo dell’automobile come Manley, abilissimo uomo di prodotto, ormai identificato coll’industria di Detroit, bensì a un leader d’impresa capace di sorprendere continuamente i suoi interlocutori. Del resto, perché il titolo Ferrari ha accusato una perdita significativa ieri in Borsa? Perché agli investitori e ai risparmiatori mancheranno le sortite improvvise di Marchionne, in grado di sorprenderli con mosse tali da galvanizzare il mercato. E poi, c’era il suo talento strepitoso di negoziatore, che in tante si situazioni si è rivelato ineguagliabile.

Manley deve trovare oggi il suo approccio con cui presentarsi non più a Detroit, ma sulla scena internazionale. Lo farà certamente, come si evince dai primi eventi dopo la sua nomina. È emblematico che assuma su di sé ad interim le deleghe lasciate da Alfredo Altavilla dopo le sue dimissioni, che non sono giunte del tutto improvvise. Altavilla è stato un collaboratore importante di Marchionne e ha retto negli ultimi tempi le attività europee di Fca, problematiche in quanto a redditività. Improbabile che il manager italiano (ormai quasi un’eccezione nell’alta direzione del Lingotto) potesse rientrare senza problemi nella squadra di Manley. D’altronde, qualche avvisaglia del suo eventuale disimpegno s’era già avvertita, quando aveva fatto ingresso nel consiglio di Tim.

Questa è soltanto la prima delle discontinuità che sicuramente emergeranno nella conduzione di Fca. Manley dovrà articolare e declinare nelle varie aree di business le indicazioni contenute in un piano industriale che, per molti tratti, resta da definire meglio, poiché esso appare oggi che altro più come uno scenario di riferimento. Partiamo dai 45 miliardi di euro di investimenti che sono stati indicati: dove si indirizzeranno in primo luogo? Quali nuovi modelli e piattaforme verranno realizzati secondo la gerarchia delle priorità? Quanto andrà agli Usa e quanto all’Italia e all’Europa? Quali saranno le loro ricadute sui vari siti produttivi? E quali i riflessi sull’occupazione nel nostro Paese e all’estero?
Formulate queste domande, che dovrebbero essere al centro di un autentico piano industriale, rimane da stabilire se esse possano trovare risposta in un contesto di turbolenza per l’industria dell’auto come l’attuale. Probabilmente, le soluzioni dovranno essere cercate caso per caso, in corso d’opera. Esse dipendono certamente dalla volontà dell’inquilino della Casa Bianca di perseguire quella svolta protezionistica che scuoterebbe dalle radici il sistema di Detroit e non solo. Essa darebbe un bello scossone anche a Fca in primis, visto la sua dislocazione che si proietta sulle due sponde dell’Atlantico. Ci sarebbe da ripensare alle strategie e alle localizzazioni produttive.

Per ciò che attiene all’Italia, poi, Manley dovrà ridefinire la sua posizione produttiva nel cuore dell’Europa. A iniziare dal rilancio dell’Alfa Romeo, un obiettivo finora enunciato, ma non ancora raggiunto, perché non si può fare la concorrenza a Bmw, Audi e Mercedes con una gamma d’offerta ancora imperniata su tre modelli (Stelvio, Giulia e – fino a quando? – Giulietta). E occorre anche ripotenziare Maserati, che sta andando meno bene di come si sperasse. Insomma, Manley si trova dinanzi a una massa di compiti che andranno fronteggiati in fretta. Ecco perché è così difficile parlare di una successione in pieno asse di continuità.
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