Equità fiscale/ Un primo passo ma svolta solo con la web tax

di Paolo Balduzzi
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Mercoledì 13 Dicembre 2017, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 00:56
Facebook comincerà a pagare le imposte in Italia: quella che dovrebbe essere una ovvietà, per una delle più grandi società web mondiali che fattura svariate centinaia di milioni di euro ogni anno nel nostro Paese, diventa una notizia da prima pagina. Già, perché a fronte di fatturati da capogiro, finora le imposte pagate dal colosso di Menlo Park (ma discorso identico si può fare per Google, Amazon e gli altri giganti del web) ammontavano a poche centinaia di migliaia di euro ogni anno. 

Il che, è evidente, risulta poco tollerabile sia dal punto di vista del fisco sia, e soprattutto, dal punto d vista dell’equità distributiva. In un Paese dove la tassazione sui redditi delle persone e delle piccole imprese è da sempre, e non a torto, ritenuta eccessiva e soffocante, sapere che chi guadagna milioni di euro contribuirà anch’esso in misura congrua alla fiscalità generale non può che essere accolto in maniera positiva. Si tratta in ogni caso di un piccolo raggio di sole, durante una stagione che rimane caratterizzata da freddo polare.

Innanzitutto, sono da verificare i tempi in cui Facebook passerà a una struttura di vendita locale, con ricavi pubblicitari tassati nel Paese in cui sono in effetti realizzati. Inoltre, si tratta pur sempre della scelta di una sola azienda, a fronte di molte altre che, al momento, restano alla finestra. Infine, è molto difficile fare previsioni su quale sarà il gettito derivante da questa operazione. Anche perché nessuna azienda - che vive di profitto - implementerebbe mai una strategia aziendale che la porti a pagare più imposte. 

A che cosa è dovuta quindi la scelta di Facebook? Che sia forse merito delle proposte sempre più concrete di introdurre una “web tax” nei Paesi europei o della riforma fiscale di Trump? Difficile dirlo. Finora le strategie dei governi sono state varie. Qualche governo ha semplicemente deciso di ignorare il problema. Lo hanno fatto in tanti e per troppo tempo. Che ciò fosse frutto di una filosofia per cui la tassazione deprime l’economia o, meno eroicamente, della pressione delle lobby, è ormai chiaro si sia trattato di una strategia iniqua. 

Altri, come più recentemente l’Italia, hanno realizzato accordi singoli e una tantum a fronte di controlli fiscali. Una strategia comunque miope, perché basata sulla lotta all’evasione - giustissima - ma che lascia scoperto il problema dell’insufficiente tassazione di queste imprese. Forse quella della web tax è finalmente la strategia più corretta, almeno sulla carta. E il Paese più all’avanguardia in materia è proprio l’Italia. Dove però la forma stessa della web tax è ancora in fase di definizione. E non si tratta di questioni di poco conto. 

Una web tax sugli utili, quindi un’imposta diretta, non dovrebbe in teoria trasferirsi sui consumatori; ma una web tax sui ricavi, quindi un’imposta indiretta, potenzialmente sì. Si tratta di dettagli tecnici ma con rilevanti ripercussioni dal punto di vista della distribuzione del carico fiscale e della giustizia sociale. 

La battaglia in Parlamento su questi temi è il segno, da un lato, di una sensibilità del legislatore che è finalmente cambiata; dall’altro lato, tuttavia, conferma la difficoltà e la debolezza degli Stati che pur basando la loro sovranità sulla delega dei cittadini, la utilizzano con severità contro gli stessi e con troppa leggerezza contro i potenti. Perché non si tratti solo di un timido, isolato e fugace raggio di sole, vorremmo quindi regalare per Natale un po’ di coraggio al nostro legislatore: che non si accontenti della carità dei più ricchi, ma che faccia di tutto per realizzare un fisco più giusto. 
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