Eurogruppo, asse Italia Francia e Bce contro il tetto ai bond nelle banche

di Marco Fortis
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Venerdì 22 Aprile 2016, 23:59
All’ultimo Ecofin ha tenuto banco la proposta olandese, assai gradita ai tedeschi, di porre un tetto al quantitativo di titoli di Stato posseduti dalle banche europee. Proposta per il momento rinviata a seguito delle molte opposizioni suscitate. Il debito pubblico, si sa, è l'ossessione fissa della Germania. Sembra un puro problema ideologico, cioè l'idea fissa del rigore finanziario, ma è qualcosa di più. È il tentativo di condurre da padroni - sia delle regole sia del campo - un gioco dove il vincitore alla fine è sempre uno solo: Berlino appunto.

In uno scenario dove la bassa crescita economica continua ed è sempre più grave il dramma delle migrazioni che preme sull'Europa, una domanda è d'obbligo: non abbiamo già abbastanza problemi? Perché dobbiamo crearcene da soli dei nuovi, noi europei, inventando questa ennesima pensata di un tetto sui titoli di Stato detenuti dagli istituti di credito?

La risposta dei Paesi "falchi" è: lo facciamo per creare più stabilità finanziaria e per favorire il cammino verso l'unione bancaria europea e la condivisione dei rischi. Ma non è affatto così. Infatti, quasi sempre sono le stesse regole che l'Europa introduce sotto dettatura tedesca a determinare instabilità, come è avvenuto recentemente anche con il "bail in" delle banche. Allontanando così gli obiettivi di integrazione anziché avvicinarli. Più l'Europa si cuce addosso regole ferree e astruse, che non esistono altrove nel mondo, e più le società di rating e i mercati bastonano i Paesi europei che malauguratamente non dovessero rispettarle al millimetro. Col rischio di buttare di nuovo benzina sul fuoco degli spread. E ampliando i divari interni all'area della moneta unica anziché ridurli.
Innanzitutto, il tema dei titoli pubblici posseduto dalle banche andrebbe casomai affrontato su scala globale e non europea, come ha ricordato da New York il Presidente del consiglio italiano Matteo Renzi. Altrimenti si determinerebbero delle clamorose asimmetrie. Perché, ad esempio, solo le banche europee dovrebbero avere dei vincoli e non anche quelle americane, giapponesi o cinesi? Inoltre, è per certi aspetti grottesco che mentre la Bce compra titoli di Stato a piene mani, si possano immaginare regole che spingano le banche europee a disfarsene, non si sa bene in virtù di quali principi. Tra l'altro, è stato proprio l'acquisto di titoli di Stato da parte delle banche che ha permesso a un Paese finanziariamente solido come l'Italia di ridurre la propria quota di debito pubblico in mani estere a livelli che, in percentuale del Pil, sono oggi del tutto simili a quelli della stessa Germania.

Durante la crisi dei debiti sovrani la Germania, Paese che ha fondato il proprio marketing sull'affidabilità, ha "esportato" il proprio debito pubblico facendoselo finanziare comodamente dagli stranieri, mentre una nazione ritenuta (ingiustamente) poco affidabile come l'Italia invece lo ha dovuto "importare", prendendoselo sulle proprie spalle. Adesso che questo ingente spostamento di risorse finanziarie a vantaggio dei tedeschi è avvenuto, a Bruxelles si vuole alzare ulteriormente la posta e si pretende anche che le banche riducano la loro esposizione sui titoli di Stato. Perché? La fredda risposta che arriva dal Nord Europa e da Berlino è questa: nel caso di una nuova crisi dei debiti sovrani le vostre banche che possiedono molti titoli pubblici costituirebbero un pericolo per la stabilità finanziaria. E noi Paesi "virtuosi" non vogliamo procedere verso la garanzia bancaria europea se prima non viene eliminato questo rischio. Un atteggiamento che definire ipocrita è dir poco.

Infatti, la critica viene da chi, come la Germania, grazie a una mega operazione di lobbying internazionale, è recentemente riuscita a far sì che nelle regole di Basilea non emergesse il gigantesco quantitativo di derivati e titoli illiquidi presente nei bilanci delle banche tedesche (senza dimenticare che già in precedenza Berlino era riuscita a tenere fuori dal perimetro della vigilanza unica europea le proprie banche locali, che non godono di buona fama).
Poniamo allora sul tavolo un problema vero. Vogliamo forse mettere sullo stesso piano un trasparente Btp italiano con un opaco derivato? I titoli di Stato italiani posseduti dalle banche italiane hanno un prezzo di mercato certo, vengono comprati ogni giorno con grande soddisfazione da parte di tutti gli investitori e sono onorabilissimi (come dimostra il fatto inequivocabile che l'avanzo statale primario cumulato italiano degli ultimi 23 anni, pari a oltre 700 miliardi di euro, è il più alto al mondo in valore assoluto). Che dire invece della circostanza che la prima banca tedesca, secondo stime di Ricerche & Studi di Mediobanca, ha in portafoglio titoli di livello 3 (cioè senza prezzo di mercato, derivati e simili) per oltre il 50% del proprio patrimonio netto tangibile? Tra le banche sistemiche europee ve ne è una svizzera i cui titoli di livello 3 arrivano a oltre il 70% del patrimonio, una britannica che arriva al 58% e una francese che arriva al 35%. Mentre le prime due banche italiane, al netto del valore di carico delle loro partecipazioni in Banca d'Italia, hanno titoli illiquidi per appena l'8% del loro patrimonio. Al 30 giugno 2015 le prime 17 banche sistemiche del Nord Europa da sole avevano invece in pancia 230 miliardi di titoli illiquidi.

Come ha detto Draghi, la Bce non obbedisce ai politici. Sarebbe ora che in materia di regole anche Bruxelles non obbedisse solo e sempre alla Germania, specie se le regole che detta Berlino sono finalizzate a nascondere i problemi di casa propria creando strumentalmente difficoltà agli altri Paesi membri. La verità è che la stabilità finanziaria e bancaria europea è gravemente minacciata soprattutto dal giacimento sotterraneo di derivati che attraversa trasversalmente i bilanci di molte banche sistemiche europee. È su questi investimenti bancari rischiosi che Bruxelles e la vigilanza unica europea dovrebbero accendere un faro e mettere tetti. Non sui titoli di debito pubblico. E di sicuro non sui rispettabilissimi titoli di Stato italiani.

 
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