Così è svanito l'incubo default: i 40 mesi sulle montagne russe dei Btp

Così è svanito l'incubo default: i 40 mesi sulle montagne russe dei Btp
di Andrea Bassi
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Sabato 28 Febbraio 2015, 06:22 - Ultimo aggiornamento: 09:01
ROMA - Sembra passata un'era geologica. Un tempo remoto, un'altra epoca. E invece a dividere l'Italia «spread 500» dall'Italia «spread 100» sono passati solo quaranta mesi. I titoli pubblici, scansati come la peste tre anni e mezzo fa, sono diventati preziosi e ricercati come un Gronchi rosa. Spread nella sua traduzione letterale significa «differenza».



In realtà il termine più adatto per tradurlo sarebbe fiducia. Quella che chi compra i Bot e i Btp emessi dal Tesoro ha di vedere rimborsati i propri soldi. Ma anche quella nei programmi e nella capacità dei governanti pro tempore di realizzarli. C'è stato un tempo, che pure sembra remoto, ma non lo è, in cui il differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato italiani e quelli tedeschi era praticamente nullo. Romano Prodi aveva rivendicato con orgoglio che quando c'era lui, la differenza era di soli 24 punti. Ma nei primi anni del decennio scorso, dopo l'adesione dell'Italia all'euro, tutti i governi avevano potuto sperimentare la «pace dello spread». Persino Silvio Berlusconi. Il suo secondo esecutivo, nell'anno 2005, arrivò ad un minimo di soli 15 punti. Ma la tempesta era di la da venire. Il significato di spread, l'italiano medio lo ha scoperto solo nel 2010, quando è scoppiata la prima bomba del debito, quella greca, e i giornali anglosassoni coniarono l'acronimo Piigs, mal tradotto in «maiali». Nel caso i maiali erano i Paesi ad alto indebitamento: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna. Ma nel 2010 se la Grecia aveva uno spread quasi a quota mille e l'Irlanda sull'orlo del fallimento sfiorava i 560 punti, per Roma il differenziale era ancora contenuto a 160 punti. Un campanello d'allarme di un incendio che stava ormai per scoppiare.

LA CALDA ESTATE

La prima vampata c'era stata a luglio del 2011, quando Standar&Poor's aveva diffuso un bollettino sulla manovra «estiva» del governo Berlusconi nei fatti bocciandola. Sul tavolo c'erano anche altre questioni. L'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, minacciava un giorno sì e l'altro pure le sue dimissioni. Un duro scontro nel governo si stava consumando anche sul successore di Mario Draghi, appena nominato presidente della Bce, al vertice della Banca d'Italia. L'estate iniziò a riscaldarsi, con lo spread che stazionava stabilmente sopra i 200 punti base e ad agosto il termometro già segnava febbre alta. All'inizio del mese il Financial Times aveva attaccato Tremonti, definendolo «non indispensabile», e l'edizione tedesca lanciò per la prima volta l'ipotesi che Mario Monti potesse prendere le redini del governo al posto di Berlusconi. Spread oltre i 300 punti. Pochi giorni e arrivò a 390, insieme alla ormai famosa lettera inviata dal presidente uscente della Bce, Jean Claude Trichet, e a quello entrante, Mario Draghi, con i «compiti a casa» per l'Italia. Un diktat durissimo, nel quale veniva chiesto a Roma di anticipare al 2013 il parggio del bilancio, con una manovra di tre punti di Pil, cinquanta miliardi, in un solo anno. E poi un lungo elenco di riforme, da quella del lavoro a quella della Pubblica amministrazione. Alla fine del mese lo spread si era stabilizzato. La quiete prima della tempesta.



A dare fuoco alle polveri, a settembre, ci pensò ancora una volta Standard&Poor's con il «downgrading» del debito pubblico italiano. Lo spread a quel punto aveva rotto i freni. Il 23 ottobre del 2011 in un vertice europeo a Cannes, la Francia e la Germania lanciarono un ultimatum a Berlusconi: «Attui subito le misure per debito e crescita». Ma quello che ancora rimane impresso nella memoria di quel vertice è altro. È la fotografia di Angela Merkel e Nicolas Sarkoszy che ridono dopo che un giornalista aveva domandato se avevano fiducia in Berlusconi. Fiducia, appunto, quella stessa misurata dallo spread. La reazione dei leader europei sul termometro dei mercati si era tradotta in 500 punti di differenziale. Il nove novembre del 2011 sarà sempre ricordato come il giorno della grande paura, con lo spread a 574 punti. Il record. Qualche giorno e Berlusconi fu costretto a gettare la spugna. Iniziò così l'era del governo tecnico di Mario Monti, rappresentato dall'icona del «Loden», segno di sobrietà, rispetto alle «cene eleganti» del Cavaliere che riempivano le pagine dei giornali. Sotto la guida di Monti per un po' lo spread si raffreddò, scendendo fino a 287 punti. Ma nell'estate del 2012 ritornò la paura, con la Spagna che chiedeva aiuto all'Europa e la Germania che si opponeva agli Eurobond. La vera secchiata d'acqua fredda in grado di riportare la temperatura sotto controllo, è quella che Mario Draghi ha lanciato nel settembre del 2012, il «whatever it takes», quel «qualsiasi cosa per salvare l'euro». Quel qualsiasi cosa che oggi si è tradotto nel «Quantitative easing», l'acquisto di 60 miliardi al mese di titoli pubblici da parte della Bce che partirà da domani e che ha reso i Btp merce pregiata come i più blasonati bund tedeschi.