Porti, acque minerali e bancarelle: la guerra delle mille concessioni

di Diodato Pirone
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Mercoledì 22 Agosto 2018, 10:56
Autostrade Spa è finita sulla graticola delle concessioni per la più crudele delle tragedie, ma il dossier su come Stato, Regioni e Comuni fanno gestire i loro beni dai privati era già rovente. Già perché le concessioni in Italia sono centinaia di migliaia e da sempre vengono gestite malissimo in quasi tutti i 24 vastissimi settori (si va dalla tv al petrolio, dalle funivie ai porti) nelle quali sono suddivise .
I casi più noti sono quelli delle spiagge e delle bancarelle. Le prime sono beni demaniali le cui cifre parlano da sole: le amministrazioni pubbliche ricavano un centinaio di milioni sui 15 miliardi di fatturato del settore. Anche quello delle bancarelle, che occupano suolo pubblico, è un nodo spinosissimo per i sindaci che per legge (la direttiva europea Bolkestein) dovrebbero mettere a gara il rinnovo della concessione. Una procedura vista con il fumo negli occhi dai circa 200.000 ambulanti italiani.
E' gara, infatti, la parola chiave del dossier concessioni. Invisa da chi gestisce i beni a condizioni generalmente di favore o comunque considerate come acquisite, la gara viene vista invece dall'Europa, dall'Antitrust e da una parte dei legislatori italiani come la leva con la quale scardinare (o tentare di farlo) privilegi, interessi e prebende d'ogni genere, comprese quelle riservate ai dipendenti delle aziende che godono di concessioni agevolate.
Non a caso, uno dei nodi più roventi fatto emergere dal Nuovo codice degli Appalti, come ha raccontato l'ex senatore del Pd Stefano Esposito, fu proprio quello di stabilire quanti lavori di manutenzione il concessionario Autostrade potesse fare in proprio e quanti dovesse appaltare con un concorso fra imprese concorrenti.
IL CASO FUNIVIE
L'obbligo di gara è stato recentemente ricordato dall'Antitrust per un settore di nicchia come quello delle funivie. Gli amministratori della provincia di Bolzano se ne erano dimenticati in ben 13 casi. E sempre la gara è anche lo spauracchio di una delle società concessionarie più famose d'Italia: l'Atac. Società del Comune di Roma che per conto del Comune di Roma gestisce gran parte della rete di trasporti pubblici di Roma la cui concessione sarebbe dovuta andare a gara nel 2019. Una dead line che la giunta pentastellata ha fatto slittare al 2021.
Un altro settore le cui concessioni scottano da sempre è quello delle acque minerali. Su questo comparto ha fatto chiarezza ad aprile un rapporto del ministero dell'Economia . Che fotografa questa situazione: le 295 concessioni (rilasciate a 194 aziende diverse) assicurano incassi alla pubbliche amministrazioni pari ad appena 18,4 milioni di euro su un fatturato del settore stimato in 2,7 miliardi di euro. Traduzione: i Comuni e le Regioni proprietarie delle acque minerali italiane ricavano meno dell'1% del valore generato dal loro bene. E' il giusto? Le società del settore assicurano di sì perché - dicono - l'acqua in sé ha scarso valore. Ma lo acquista solo dopo che i concessionari la scoprono, la lavorano e la commercializzano.
C'è poi il caso paradossale dei porti per i qualim lo Stato la concessione non riesce a riscuoterla nostante la volontà dei concessionari di pagare anche di più. In sintesi, la storia è questa: le concessioni demaniali dei porti sono regolate da una legge del 1942 parzialmente cambiata nel 1994. Si tratta di norme datate che avevano bisogno di un regolamento bocciato dal Consiglio di Stato e poi rimpallato fra i ministeri. Risultato: fino alla scorsa primavera non si capiva esattamente quanto pagare e molti investitori stranieri (i porti stanno vivendo un boom in tutto il mondo) si sono tenuti lontani dall'Italia . Il regolamento pare sia arrivato lo scorso 6 febbraio. Dopo 76 anni.
 
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