Ciampi, la rivoluzione in Bankitalia e la concessione sull'euro

Ciampi
di Osvaldo De Paolini
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Sabato 17 Settembre 2016, 07:59
Fu un buon governatore Carlo Azeglio Ciampi? Sì, fu un buon governatore. E se riferendosi al decennio 1980-1990 (quello che vide Ciampi alla guida di Via Nazionale) Giuliano Amato ebbe a definire il sistema bancario italiano «una foresta pietrificata» per la chiusura verso l'esterno e la diffidenza nei confronti della concorrenza che la Comunità europea stava portando, egli non mancò di riconoscere che «una maturazione era comunque in corso, promossa e assecondata dall'intelligente lavoro della Banca d'Italia, allora guidata dal governatore Carlo Azeglio Ciampi».

L'EREDITÀ DI BAFFI
Questi raccolse l'eredità di Paolo Baffi in un momento particolarmente delicato per l'Istituto centrale, finito al centro di un attacco politico-giudiziario senza precedenti che nel 1979 aveva portato all'arresto del vicedirettore generale Mario Sarcinelli e alla messa in stato d'accusa del governatore stesso per «aver fatto il proprio dovere», si dirà alla morte di Baffi. Trovatosi d'improvviso e suo malgrado seduto su una poltrona assai scomoda, Ciampi gestì la banca con grande prudenza, ma anche con determinazione: era giunto il momento di tagliare anche il cordone simbolico con la politica. Fu l'inizio del divorzio tra Banca d'Italia e ministero del Tesoro, tanto che nel 1981 si arriverà alla firma, con l'allora ministro Beniamino Andreatta, di un accordo che eliminava l'obbligo per la Banca di acquistare i titoli di Stato invenduti durante le aste.

Lo sganciamento definitivo dalla politica non impedì a Ciampi di gestire con competenza la liquidazione dell'Ambrosiano, il dissesto bancario più importante del dopoguerra, un bail-in ante litteram di cui ancora oggi si parla per le implicazioni finanziarie, politiche e malavitose. Ed è curioso che nonostante i suggerimenti giunti da più parti, il governo Renzi non abbia provato a fare tesoro delle tecniche autorizzate allora da Ciampi, per ristorare i risparmiatori vittime delle quattro banche fallite un anno fa: non avrebbe incontrato l'opposizione di Bruxelles e oggi gli obbligazionisti di quegli istituti (ma anche gli azionisti) avrebbero davanti a loro ben altre prospettive di recupero.

Scrive di lui l'attuale governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco: «Quale governatore, Ciampi fu il promotore di una radicale riforma della normativa e del mercato che nel tempo portò alla privatizzazione di tutte le banche pubbliche, alla nuova legge bancaria e all'apertura del mercato alla concorrenza». Insomma, una rivoluzione felpata durata dieci anni che ha modificato profondamente il sistema bancario italiano trasformandolo - prima della crisi dell'economia reale e dell'avvento di una Vigilanza Unica troppo esposta alle influenze tedesche - in uno dei più solidi d'Europa.

LA FORZATURA DI WAIGEL
Ma non tutto ciò che lo vide protagonista andò per il verso giusto. Ancora oggi Giuseppe Guarino, acuto studioso dei meccanismi che governano l'Europa, rimprovera a Ciampi di aver sottovalutato gli effetti del Patto di Stabilità, fortemente voluto nel 1997 dall'allora ministro tedesco Theo Waigel, che di fatto privò gli Stati aderenti all'Unione della possibilità di indebitarsi e di esercitare una propria politica economica per la crescita. Un regolamento che di fatto contrastava con il Trattato di Maastricht, abbracciato e condiviso da tutti gli Stati membri alla fine del 1991, che invece consentiva un deficit del 3% e il suo sforamento in alcuni casi specifici.

Sicché l'euro, che di lì a qualche anno sarebbe stato adottato dai Paesi aderenti, non avrebbe più avuto come faro la linea dettata da Maastricht con l'obiettivo della crescita perseguita dagli Stati membri attraverso una propria politica economica e la capacità di indebitamento entro i limiti dei parametri; in virtù del regolamento 1466/97 (appunto il Patto di Stabilità) venivano invece imposti un risultato predefinito e due obblighi: il pareggio di bilancio a medio termine e come pervenirvi attenendosi a un programma rigido stabilito paese per paese dalla burocrazia di Bruxelles.

GLI EFFETTI NEGATIVI
Salvo una depressione strisciante che però andò radicando a partire dal 2002, in Italia gli effetti negativi della forzatura di Waigel divennero drammaticamente tangibili con l'acuirsi della crisi. L'errore di Ciampi fu dunque di accettare quel vincolo, che non c'era nel Trattato, senza consultarsi con alcuno. Lo stesso Guarino però riconosce che l'allora ministro del Tesoro italiano non aveva alcun secondo fine. «Ciampi è un galantuomo, rispettoso delle istituzioni - dichiarò qualche tempo fa al Messaggero lo studioso ed ex ministro delle Finanze - Così come Waigel aveva il mito della stabilità del marco, Ciampi aveva quello dell'Europa: era tra coloro che pensavano che la nascita dell'euro di per sé avrebbe risolto tutti i problemi. Non è andata così».
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