Patuelli (Abi): «Per l'Europa non vedo gravi rischi dalla Brexit e la scossa potrebbe rivelarsi salutare»

Patuelli (Abi): «Per l'Europa non vedo gravi rischi dalla Brexit e la scossa potrebbe rivelarsi salutare»
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Giovedì 16 Giugno 2016, 12:42 - Ultimo aggiornamento: 13:01
Presidente Antonio Patuelli, quanto avrebbe da perdere l'Europa con l'uscita della Gran Bretagna?
«Non vedo gravi pericoli per l'Europa continentale. Anzi, superata la prima fase emotiva per il sogno che svanisce, m'immagino un'Europa protesa a conquistare le attività che per decenni hanno fatto di Londra il cuore finanziario del Vecchio Continente. E non mi stupirei se Parigi facesse di tutto per soffiare alla City quel primato».
Quali conseguenze potrebbe dover subire invece il nostro Paese? Nei corridoi di Bankitalia non si registrano particolari tensioni.
«Nemmeno in Abi si temono effetti fortemente negativi. Del resto, l'interscambio italiano con il Regno Unito ruota attorno all'1%, numeri modesti. Personalmente sono convinto che in breve potremmo addirittura guadagnarci da una Brexit che, mi permetta di precisare, comunque non auspico».
Perché non auspicarla, se davvero l'Italia alla fine potrebbe addirittura guadagnarci?
«Perché la Brexit è pur sempre un evento negativo dal punto di vista del sogno europeo. Non è questo che volevano i padri fondatori. Nessun europeo convinto tifa per il distacco, ma la permanenza in Europa della Gran Bretagna sta costando più del dovuto ai cittadini dell'Unione. Quindi, se gli inglesi preferiscono fare da sé ce ne faremo una ragione. Anche perché il prezzo più salato lo pagheranno loro».
Quanto più salato?
«Richard Lambert, ex presidente degli industriali inglesi, ha di recente quantificato in 70 miliardi di sterline la perdita del Pil che verrebbe generata. Mark Carney, governatore della Banca d'Inghilterra, parla di rilevante rischio interno per la stabilità del Paese. Mi sembra che basti».
Però i mercati non sembrano darle ragione. Il rimbalzo tecnico di oggi non cancella gli scivoloni dei giorni scorsi, né mette al riparo da quelli che presumibilmente seguiranno nei prossimi. Chi sta sbagliando?
«I mercati stanno vivendo una fase che oserei chiamare negativista, dove la prudenza per la scossa possibile fa premio su ogni ragionamento. Non mi sorprende: è la coda di un decennio di grave crisi economico-finanziaria ed è persino ovvio che reagiscano in questo modo. Poi c'è la speculazione, che per natura amplifica ogni scostamento».
Davvero non c'è il rischio di nuovi crolli a catena?
«Lo escluderei. La crisi internazionale è alle spalle, non ci sarà una gran ripresa ma la fase distruttiva è finita. Superata l'emotività del voto, si tornerà a puntare sui fondamentali. D'altro canto, di fronte a certi prezzi è difficile immaginare nuove ondate in vendita».
Allude alle quotazioni fortemente depresse delle banche?
«Sì, soprattutto delle banche. Quando aziende che hanno operato svalutazioni drastiche continuano a quotare in Borsa sottomultipli del loro patrimonio netto, diviene forte il sospetto che il prezzo sia essenzialmente frutto di timori misti al pressing della speculazione professionale. Alla prima schiarita sono convinto che vedremo molti indici tornare a puntare verso l'alto».
Dunque, non c'è il rischio che si innesti una dinamica negativa come ai tempi della Grexit?
«Nemmeno per idea. Grexit e Brexit sono due situazioni profondamente diverse. La crisi di questi giorni non nasce dall'economia o dalla finanza, è una crisi politico-istituzionale che nasce da problemi interni al Regno Unito e al suo governo. Il punto è che si è innestata sul ramo malato che da dieci anni impedisce all'Europa di proseguire verso la pienezza dell'Unione».
Dieci anni? Ma la crisi finanziaria è cominciata otto anni fa
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«Alludo al trattato firmato dieci anni fa in Campidoglio che non ha mai prodotto la Costituzione per l'Europa che tanto era stata auspicata. Insomma, questa volta la crisi finanziaria s'innesta su una crisi politica che se non verrà risolta, alla lunga potrebbe portare anche allo sgretolamento dell'Europa continentale».
Come ne usciremo?

«E' un bene che l'Europa si occupi di economia, ma se si continuano a fare riunioni puntate sulla sola Unione economica, poi scoppiano le contraddizioni, come in Gran Bretagna. La soluzione, che paradossalmente potrebbe essere accelerata dalla choc provocato dalla Brexit, è un'assemblea costituente europea che definisca anche l'Unione politica, federazione o confederazione che sia: è il salto che manca».
Lei sembra certo che a pagare sarà soltanto, o soprattutto, la Gran Bretagna. E se Londra decidesse di trasformarsi in una piazza off shore a tutti gli effetti?
«Ma via, nemmeno la Svizzera gode più della condizione di privilegio che ne fece la fortuna. Oggi tutti sono chiamati a combattere il terrorismo, l'evasione fiscale, i traffici illeciti triangolati. No, non è un'ipotesi credibile. Tra l'altro, nella fase di negoziazione che seguirebbe la Brexit, sono certo che l'Europa avvierebbe una trattativa durissima per togliere alla Gran Bretagna ogni regalo fatto in questi anni. Ciò anche allo scopo di scoraggiare i partner europei eventualmente tentati di seguirne l'esempio. L'Europa farebbe di tutto per dimostrare che chi resta ha tutto da guadagnare».
Non vede il rischio che senza Gran Bretagna, Bruxelles divenga ancor più germanocentrica?
«Non credo. Penso piuttosto che le rigidità dell'Unione bancaria, esasperate proprio dai tedeschi, abbiano cominciato a far sentire i canini anche sulla loro pelle. Non a caso abbiamo assistito a un allentamento della pressione da parte di Berlino. La Germania si è evidentemente resa conto che la politica del rigore ad ogni costo potrebbe spingere Ungheria, Polonia, Danimarca e Olanda, ovvero i paesi a lei limitrofi che hanno problemi, a seguire le orme inglesi. E questo non sarebbe il miglior viatico elettorale per Angela Merkel: il 2017 non è lontano».
Osvaldo De Paolini
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