Inizialmente in abbinamento con Milano Finanza e Italia Oggi, il libro “L’altra Brexit. Geopolitica & Affari” corregge la storia ufficiale della Brexit, quella emersa con forza sui media, dimenticandosi, forse, secondo Pezzulli, che da vent’anni vive tra Londra e l’Italia, di interrogarsi sui vantaggi economici e le alleanze geopolitiche che il Regno Unito può ricavare da una decisione così epocale. Chi e cosa hanno determinato l’uscita dall’Unione europea? si chiede Pezzulli. Il popolo britannico, attraverso il referendum? O piuttosto l’alleanza tra una frangia euroscettica ben posizionata nelle istituzioni britanniche preoccupata per la deriva pangermanica dell’Ue e gli hedge funds inglesi preoccupati per gli squilibri nel bilancio commerciale dell’Ue. Non c’è dubbio, che sia questa la lettura giusta, sentenzia il libro. Esiste «chiara l’evidenza» che queste forze hanno cominciato a lavorare dietro le quinte molto prima della consultazione pubblica, con il preciso scopo di rifocalizzare l’economia britannica su finanza cinese e finanza islamica. In gioco per Pezzulli c’è l’obiettivo di perseguire la suggestione dell’Impero Britannico 2.0: l’Uk ha intessuto importanti rapporti con due potenze asiatiche, la Cina e l’Arabia Saudita parallelamente alla Brexit.
Di fatto è un’operazione “win win”. Pechino, racconta la ricostruzione, offre a Londra la possibilità di diventare il terminale Occidentale della Belt and Road Initiative (Bri) di Xi Jinping, e piantare così l’Union Jack sulla Nuova Via della Seta. In cambio, il renminbi è stato fatto entrare nel paniere delle monete di riserva del Fmi, grazie allo sviluppo di un pool di liquidità cinese sulla piazza finanziaria di Londra. Le garanzie sulle contrattazioni sono assicurate da un accordo tra banche centrali,da una parte la Bank of England (Boe) e dall’altra la People’s Bank of China (Pboc). La China Construction Bank (Ccb), invece, gestisce la fase di liquidazione e regolamento delle transazioni denominate nella valuta cinese sul territorio britannico. Quanto all’Arabia Saudita, la posta in gioco è Aramco, la compagnia petrolifera di stato, da privatizzare nel 2019, subito dopo la Brexit, per finanziare la Visione 2030 di Mohammed Bin Salman. Dunque, lo yuan è entrato nel paniere del FMI nel giorno del 67° anniversario della Rivoluzione cinese, emntre la nomina di David Cameron a capo del fondo infrastrutturale Anglo-cinese è avvenuta nell’anniversario della Rivoluzione gloriosa che restaurò sul trono inglese Guglielmo III d’Orange. Nessuna causalità, una strategia precisa concepita nell’ottobre del 2012. Il disegno, mai completamente abbandonato, di fare di Londra la nuova Singapore dell’Atlantico, rendendola così una sorta di zona franca per il transito dei grandi flussi d’investimento, ha avuto un peso determinante nel “leave”. Un modo per reagire alla crescente forza della Germania, sostenuta dal suo surplus commerciale e dall’asse con i francesi, cercando nuovi sbocchi a livello globale, e riposizionarsi tra gli Usa ad Occidente e la Cina ad Oriente, recuperando un ruolo centrale nel commercio internazionale. In questo contesto, racconta ancora Pezzulli, l’irrigidimento delle regole europee su banche e investimenti è stata un’ulteriore spinta a lavorare per il distacco, pena il crollo della redditività degli operatori finanziari di tutto il mondo che hanno sede nella City. Di qui la conclusione: l’Italia deve cogliere l’opportunità offerta dalla Brexit avviando nuovi rapporti bilaterali con il Regno Unito. Una missione in cui il nuovo governo avrà un ruolo cruciale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA