Bonus 80 euro, così si cambia. Ipotesi tetto fino a 32mila

Padoan
di Andrea Bassi e Luca Cifoni
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Sabato 11 Marzo 2017, 07:53 - Ultimo aggiornamento: 12 Marzo, 09:14
È tuttora la misura-simbolo del governo Renzi: ma sul bonus 80 euro l'attuale esecutivo guidato da Paolo Gentiloni ha acceso un faro, che potrebbe portare con la prossima legge di bilancio a rivedere anche in profondità tutto il meccanismo. I problemi aperti sono più di uno: il primo, che si manifesta periodicamente, è quello dei contribuenti che perdono il bonus già assegnato a seguito di una variazione del reddito (mentre altri per ragioni simmetriche lo ottengono solo in dichiarazione). Un inconveniente che dipende in larga parte dal brusco decalage con il quale l'importo del credito d'imposta si azzera tra i 24 mila e i 26 mila euro di imponibile Irpef.

I PUNTI CRITICI
Ma proprio questo aspetto critico si potrebbe manifestare nei prossimi mesi in un modo ancora più concreto: quando sarà rinnovato il contratto di lavoro dei dipendenti pubblici, molti di loro potrebbero avere la brutta sorpresa di incassare con una mano l'aumento di stipendio (che in base ad un'intesa di massima si aggirerà sugli 85 euro lordi al mese) e con l'altra di perdere se non tutto almeno una parte consistente del bonus 80 euro. A correre questo rischio non sarebbero in pochi. Secondo alcune simulazioni, ad aver percepito lo scorso anno il bonus da 80 euro sono stati 622 mila statali, un quinto di tutti i dipendenti pubblici.

Per aggirare l'ostacolo i sindacati vorrebbero sterilizzare l'importo degli aumenti rispetto al diritto al bonus. Se insomma, un dipendente guadagna 24 mila euro lordi l'anno, i circa 1.100 euro di aumento legato al contratto non andrebbero sommati al reddito, ma rimarrebbero una sorta di voce a parte in modo da non far perdere il diritto al bonus. C'è però un problema. Questa strada dovrebbe essere seguita in modo generalizzato per i rinnovi contrattuali di tutte le categorie ed anche per quelli futuri.

Ma al di là di tutto una soluzione del genere avrebbe il difetto di rendere ancora più complicate e ad hoc le regole. Il governo sta invece valutando la soluzione opposta, che prevede di riportare il beneficio per i lavoratori dipendenti nell'ambito della normale detrazione che spetta a questa categoria di lavoratori; il che avrebbe come ulteriore effetto positivo quello di permettere a Eurostat di contabilizzare la somma come riduzione di entrata (e quindi della pressione fiscale) invece che come spesa sociale. C'è però da considerare l'aspetto finanziario: per rendere l'uscita dal credito d'imposta più graduale, e l'aliquota marginale implicita meno terribilmente invasiva, bisognerebbe portare la soglia da 26 mila a 30-32 mila euro, ovvero dare un pezzetto di bonus anche ai dipendenti che si trovano in queste fasce di reddito. E questo costa.

Un piano articolato lo ha messo già a punto anche l'ex vice ministro dell'Economia e segretario di Scelta Civica, Enrico Zanetti. La sua proposta prevede di trasformare il bonus da credito d'imposta in una detrazione. Per evitare che tra gli 8 e gli 11 mila euro circa, per effetto dell'incapienza dell'imposta il bonsus scenda al di sotto di 80 euro, rimarrebbe parzialmente un credito. Per tutti gli altri sarebbe una detrazione in grado di garantire la stessa cifra. Anche il decalage verrebbe reso più morbido. Non più la tagliola a 26 mila euro, ma un percorso di graduale riduzione che partirebbe a 23 mila euro per finire a 28 mila euro. Per evitare le platee ballerine, infine, a chi è a ridosso della soglia massima, il beneficio verrebbe pagato annualmente in sede di dichiarazione e non mensilmente nel cedolino dello stipendio.

L'ALTERNATIVA
Il dilemma davanti al quale si trova il governo è quindi se destinare a questo scopo una parte della già non pingue dote destinata al taglio del costo del lavoro. C'è anche una ipotesi completamente diversa, ma assai rischiosa, che prevede di destinare alla riduzione dei contributi previdenziali anche i quasi 10 miliardi che oggi finanziano il bonus. Con l'effetto sì dare una scossa molto forte anche in termini di maggior reddito disponibile per i lavoratori, ma anche di scontentare quelli che alla fine dei conti - pur beneficiando di un taglio contributivo di molti punti, non avrebbero un beneficio maggiore rispetto a quello attuale o andrebbero addirittura a perdere qualcosa.
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