Esselunga, Caprotti nel testamento: «Mai in mano alle coop, vendete agli olandesi»

Esselunga, Caprotti nel testamento: «Mai in mano alle coop, vendete agli olandesi»
di Roberta Amoruso
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Venerdì 7 Ottobre 2016, 11:00 - Ultimo aggiornamento: 8 Ottobre, 17:45

L’incubo peggiore era che la sua Esselunga potesse diventare coop. Perché troppo a lungo «privata», troppo «italiana» e quindi «soggetta ad attacchi». Ecco perchè l’indicazione precisa di Bernardo Caprotti nel suo testamento per la moglie Giuliana e per la figlia Marina è di stare alla larga dalle distribuzione cooperativa. Perché la sua scomparsa non cambiasse la rotta fin qui seguita, tutta estranea e avversa al mondo Coop. 

Il testamento

Il futuro, invece, deve guardare all'estero. Magari tra un paio d'anni, «quando i pessimi tempi italiani fossero migliorati». E allora meglio puntare su un destino con gli olandesi di Ahold Kon, lascia scritto nero su bianco il fondatore. Per carità, non agli spagnoli di Mercadona. Di tutto questo dovranno tenere conto la moglie Giuliana e la figlia Marina che ora hanno in mano il 70% di Supermarkets Italiani, oltre al 55% di Villata Partecipazioni, la società immobiliare.

Ai figli di primo letto, Giuseppe e Violetta, rimane un ruolo di minoranza. «Non sarà una famiglia», dice Caprotti, ma almeno «non ci saranno lotte inutili» e la «continuità» è sotto chiave. Questo era per Caprotti «il bene di tutti». Anche dei 22 mila dipendenti Esselunga. Auspicando «che veramente non ci siano ulteriori contrasti e pretese». Che, insomma, «ognuno rimanga nel suo ambito».

LA DIVISIONE DEI BENI
A Giuseppe l’appartamento sul golf di Ponticello a Cassina Rizzardi (Como), l’appartamento di Verbier (nel Valais in Svizzera), la villa di famiglia in Albiate (Milano) con alcuni mobili ed arredi di grande  pregio», con tanto di pertinenze, parco e terreni agricoli per circa 20 ettari. Non solo. Anche quanto rimaneva della biblioteca del «mio bisnonno Giuseppe», circa 4.000 volumi «ritenuta di grande interesse dall’esperto Vigevani. E poi l’intero archivio di famiglia repertato negli anni ’70, che «costituisce il centro delle nostre origini, la nostra tradizione di generazioni».

A Violetta inve la casa in cui vive, in via Bigli a Milano, quella di New York sulla Quinta strada e la proprietà «che mi è in assoluto più cara, il castello di Bursinel», tra pertinenze, vigne, terreni, boschi, un totale di 45 ettari. Naturalmente anche gli arredi e i mobili «di cui non posso fare un elenco perchè non ho avuto più accesso dal tempo della consegna a Violetta e a suo marito». Tanto per far capire come fossero i rapporti con Violetta. Poi è il turno della moglie Giuliana a cui riserva l’appartamento sul golf di Monticello, la metà della casa sull’isola greca di Skiatos. L’altra metà va alla figlia Marina. a cui spetta anche una donazione di circa 8 milioni di euro «quale mio contributo per il recente acquisto per la casa di Egerton terrace, a Londra».

DIPINTI E MOBILI
Per non parlare dei dipinti e mobili già arrivati nel tempo a Giuseppe, Violetta e Giuliana. «Solo per fare un esempio», e qui Caprotti si toglie più di qualche sassolino dalla scarpa, «a Giuseppe ”La natura morta con Melograno e bicchiere di vino” di De Chirico, a Violetta l’olio di Zandomeneghi ”Donna alla finestra”, appartenuto a mio padre, ”Le rose bianche di Fantin-Latour” dato a Giuliana». A Marina, invece, «una modesta madonna e un pastello di Zandomeneghi». Come per dire, ”non più di tanto”.


«E allora non mi atterderei su cose passate», dice il fondatore. Il disegno di «ripartizione e continuità familiare - business soprattutto - che avevo «costruito con tanta sofferenza e fatica,  già oltre 16 anni fa, è naufragato la sera del 30 luglio 2010». E ricordiamo che proprio nel 2010 sfumo’ la famosa vendita a Wal Mart, quando si consumo’ anche la rottura con la figlia Violetta (Giuseppe era già stato estromesso nel 2004 dal gruppo) e prima che nel febbraio del 2011 i figli scoprissero di essere stati defenestrati dalla società fiduciaria che gestiva le quote di famiglia e in cui erano entrati per un po’ con una scrittura privata, una sorta di ingresso con l’elastico.

LE ALTRE PROPRIETA’
Ma non è finita, diviso come detto il controllo di Supermarkets Italiani e di Villata Partecipazioni anche a seguito di un precedente donazione in vita a favore della moglie Giuliana e della terzogenita Marina, a quest’ultima va anche «l’intero possedimento nel comune di Zonza, nel sud della Corsica», vale a dire «un terreno sul mare con destinazione agricolo-forestale, libero» e «forse a parziale valorizzazione». Poi sempre alla moglie l’intera proprietà in Fubine Monferrato: una casa da caccia e quattro cascinali «pressochè fatiscenti», ma «suscettibili di ricostruzione». E anche qui indicazioni precise: «è una proprietà che chiede una destinazione finale, anche con una divisione in due ambiti: Gambinello, Capra e Castellino a sud, e Valvarena e Valmadonna a nord».

LE DONAZIONI
Ma nelle 15 pagine di testamento ce n’è anche per altri, meno simpatici, al fondatore. Per esempio sono da «annullare», dice, le donazioni di dipinti «previste alla Galleria di Arte moderna di Milano». E questo perché a proposito di «un dipinto di grande interesse ed ingente valore» donato alla Pinacoteca Amrosiana, Caprotti ricorda «l’esperienza molto negativa, fino al dileggio da parte di studiosi ed esperti» dellla stessa Pinacoteca, quale Monsignor Buzzi e tale Marani».

Per il resto, il fondatore ha lasciato al Museo del Louvre di Parigi l’olio di Manet ”La Vergine col coniglio bianco” «con l’onere che venga esposto accanto al Tiziano originale». Gli oggetti «suoi personali vanno invece alla moglie e alla figlia Marina», «visto quanto ho subito negli ultimi anni da Giuseppe e Violetta». Fatti salvi i dipinti destinati ai nipoti, Tommaso, Margherita, Giovanni e Andrea.

I RISPARMI
A proposito dei risparmi personali, poi il fondatore fa riferimento a due conti titoli presso il Credit Suisse e Deutsche Bank dove è custodito anche l’unico conto corrente. Ebbene, oltre a due dipinti, metà di tutto questo andra’ alla segretaria Germana Chiodi «signora a cui voglio esprimere la mia immensa gratitudine per lo straordinario aiuto prestato». 

L'altra metà dei risparmi andrà divisa tra i 5 nipoti, cioè i tre figli di Giuseppe, Tommaso, Margherita e Giovanni, e i due figli del fratello minore Claudio, Andrea e Fabrizio, che ugualmente ricevono dei quadri. Al marito della figlia Marina, Francesco Moncada di Paternò l'imprenditore lascia la sua Bentley «perché la faccia diventare veramente vintage». Al ragioniere fidato di una vita, Cesare Redaelli vanno 2 milioni di euro. Mentre a Stefano Tronconi, esecutore testamentario, una parcella da un milione di euro.

Tutto deciso, tutto calcolato, come il funerale, «che sia al mattino, il più presto possibile, onde non disturbare il prossimo» nella chiesa di San Giuseppe, a «300 metri da casa», ma senza annunci e necrologi: «Sarebbero paginate di fornitori cortigiani». Persino il percorso «diretto» del carro funebre al cimiero è deciso. Come la posizione del suo loculo nella Cappella del Cimitero «perfettamete restaurata».

Era così Caprotti. Lui che ha «lavorato duramente», sottilinea, «sofferto l'improvvisa tragica scomparsa di mio padre».  Poi, più in là il dissidio coi miei due fratelli e liquidazione (richiesta) che mi è costata quasi vent'anni di ristrettezze». E ancora «nell'immane fatica, più tardi la crisi drammatica e la fine della Caprotti». La manifattura tessile di famiglia chiusa nel 2009 dopo 179 anni di attività. «Non sono stato premiato per quanto ho fatto, o ho cercato di fare, a favore di Giuseppe e Violetta», che aggiunge sono «svantaggiati dalla legge italiana (non da lui, deve pensare evidentemente, ndr) rispetto a Giuliana e Marina».

Ma dopo «tante, troppe amarezze» la decisione di fondo per il bene di tutti» è presa. A decidere il destino di Esselunga saranno la moglie Giuliana e la figlia Marina. «L’azienda è diventata attrattiva». Però, è «a rischio». «E’ pesante condurla, pesantissimo possederla». Perché «questo paese cattolico non tollera il successo». Ci vuole «una collocazione internazionale». «Ahold sarebbe ideale. Mercadona no». Non deve succedere di diventare una coop».

Il testamento dice più di quanto non abbia già fatto tutta la sua vita di genio, spigoloso.

Un po’ troppo testardo, forse. Troppo preoccupato del controllo, piu' che dello sviluppo. Come ha ricordato Claudio Costamagna, il numero uno di Cdp in questi giorni nel corso del convegno del Messaggero "Obbligati a crescere": «Dove sarebbe arrivata oggi Esselunga se si fosse aperta al mondo negli anni ’60?».




 

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