Patuelli e il filo indissolubile tra banche, cittadini e imprese

Patuelli e il filo indissolubile tra banche, cittadini e imprese
di Andrea Bassi
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Giovedì 9 Ottobre 2014, 05:50 - Ultimo aggiornamento: 11 Ottobre, 11:00


ROMA Le banche non godono, come si suol dire, di buona stampa. Non solo tra la massa dei cittadini, che spesso proprio al sistema bancario imputano le colpe della crisi. Persino tra i governanti, come dimostrano i frequenti j'accuse, talvolta irridenti, rivolti regolarmente ai banchieri. Dunque la pubblicazione di Antonio Patuelli intitolata Banche, cittadini, imprese (RubettinoFocus, 122 pagine 9 euro) è prima di tutto un'accorata difesa al sistema da parte di chi quello stesso sistema è preposto a rappresentare, il presidente dell'Abi, l'associazione delle banche italiane.



Un avvocato d'eccezione la cui arringa è ben sintetizzata nelle premessa del lavoro. L'economia, sostiene Patuelli, non conosce variabili indipendenti: là dove stanno male le imprese, stanno male le banche; là dove imprese e banche soffrono, ciò sarà patito anche dai cittadini, famiglie, persone. Una «legge naturale», dice Patuelli, della quale non sempre c'è consapevolezza. Chi, nell'analisi del presidente dell'Abi, sarebbe invece consapevole di questa legge naturale, sono le banche stesse, che «meritano più rispetto». Hanno affrontato la crisi «senza alcun aiuto di Stato», soltanto con i mezzi propri e dei propri azionisti. In questo un plauso Patuelli, lo riserva alle Fondazioni bancarie, che si sono confermate, nel loro sostegno al sistema, essere investitori istituzionali stabili e di lunga prospettiva. Eppure il libro evidenzia come l'atteggiamento nei confronti delle stesse banche sia stato quasi schizofrenico. Prima spinte a emulare il capitalismo più rischioso d'oltremare per ottenere una sempre più elevata redditività, poi sollecitate ad una rapidissima rincorsa di esigenze di prudenziale ricapitalizzazione. Compito quest'ultimo svolto, come detto, senza l'uso di capitali pubblici. Anzi, puntellando contemporaneamente il debito pubblico italiano, comprato dagli istituti e dalle assicurazioni nazionali quando il capitale straniero era in fuga. Interessante anche il capitolo che analizza il «processo storico di unificazione monetaria», dove l'autore analizza il changeover dell'euro alla luce di un altro changeover quello che ha portato alla nascita della lira, dotando l'Italia, insieme allo Stato unitario, di un'unica valuta. Nell'Italia pre-unitaria, del resto, c'era una vera «babele monetaria» in cui circolavano ben 236 monete diverse.

L'avvento della lira portò benessere e sviluppo, una lezione che non deve essere dimenticata quando si parla di euro che «è e deve rimanere», dice Patuelli, «fondamentale elemento di stabilità».