Alitalia, intervista a Boccia, presidente Confindustria: «La fine di Alitalia si può evitare»

Alitalia, intervista a Boccia, presidente Confindustria: «La fine di Alitalia si può evitare»
di Umberto Mancini
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Giovedì 27 Aprile 2017, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 16:24

Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, la vicenda Alitalia rappresenta un caso esemplare di un fallimento di un grande gruppo italiano. Come si è arrivati a questo punto, chi ha sbagliato?
«In casi come questi le responsabilità sono distribuite e diffuse. Né si può trascurare la dura concorrenza delle compagnie low cost. Forse ha avuto un ruolo determinante la commedia degli equivoci che va in scena quando non è chiaro chi debba fare che cosa e gli attori – governo, sindacati, imprenditori privati – si muovono aspettando ciascuno dagli altri la battuta decisiva».

Si poteva evitare quello che è successo? Bisognava fare le alleanze qualche anno fa?
«Parlare col senno del poi è sempre facile. Oggi appare evidente che un accordo strutturato con qualche forte compagnia europea avrebbe potuto evitare il peggio. Dobbiamo anche dire, tuttavia, che un’intesa è stata fatta e con gli arabi dell’Etihad che apparivano forti e attrezzati».

È stata una scelta politica (sbagliata) tentare l’ennesimo rilancio della compagnia? E, a suo giudizio, Matteo Renzi, una volta eletto segretario del Pd, potrà fare qualcosa?
«Tentare di rilanciare una compagnia, soprattutto se del calibro e del significato di Alitalia, non è mai sbagliato. Oggi più di ieri, con risorse scarse e serrata competizione, occorre però misurare bene ogni passo per non cadere in fallo. Sostegni, aiuti, sussidi non sono più possibili e c’è bisogno di una presa di coscienza generale che sfugga dalla trappola tutta italiana del poi tutto s’aggiusta».

Ora, al di là dei tentativi in extremis di salvataggio, si va verso il commissariamento. Con la prospettiva, delineata dal ministro dello Sviluppo Carla Calenda e da quello delle Infrastrutture Graziano Delrio, di vendere Alitalia al miglior offerente o, ma sarebbe svantaggioso, a pezzi. Tutto questo in circa 6 mesi. C’è però anche il rischio di svenderla?
«Il rischio c’è ma poiché siamo in grado di vederlo possiamo anche fronteggiarlo. C’è dunque da auspicare che l’esito non sia quello da lei indicato».

Ci possono essere soluzioni alternative a questo scenario?
«Possono e devono esserci. Crediamo davvero di poter liquidare così una faccenda seria e importante come quella che riguarda un’azienda che dà lavoro a 20 mila persone tra dirette e indirette? Ci affrettiamo a chiarire, a scanso di altri possibili equivoci, che non pensiamo alla nazionalizzazione ma a scelte di mercato».

Cosa significa per l’azienda Italia e per l’industria italiana la fine dell’Alitalia?
«Non c’è dubbio che si tratterebbe di una perdita dolorosa e rilevante ma questa circostanza non può essere usata come alibi per scaricare il costo della soluzione sui contribuenti italiani. Non ne usciamo se passa il principio che ha ragione chi protesta di più. Sarebbe un precedente inaccettabile».

Quali sono i danni per una città come Roma che ha già visto emigrare o perdere molte aziende?
«I danni per Roma, città turistica per eccellenza, sono fin troppo evidenti. Perdere una leva di sviluppo come la compagnia aerea di riferimento, non importa se di bandiera o privata, non potrà che incidere negativamente sulla qualità complessiva del sistema dei servizi».

Si parla oltre che di migliaia di posti a rischio nella Capitale, della perdita di know-how, di una eccellenza che, al di là dei conti in profondo rosso, ha fatto la storia dell’aviazione italiana?
«È vero. Il fallimento di Alitalia o peggio la sua liquidazione determinerebbe, come sempre in questi casi, non solo forti ripercussioni occupazionali, ma anche la dispersione di conoscenze ed esperienze accumulate in quasi 70 anni di storia. Portando così fuori dal nostro Paese una tradizione che è state fonte di innovazione nel settore dei servizi e della logistica. Insomma, una perdita di ricchezza da evitare».

Il referendum ha sancito con la vittoria del No la sconfessione dei sindacati che avevano sottoscritto il pre-accordo con governo e azienda. Cgil, Cisl e Uil sono sempre meno rappresentative? Eppure l’accordo raggiunto era nettamente migliore rispetto al primo piano presentato dall’azienda, con un taglio netto alle riduzioni di stipendio e meno esuberi...
«Cgil, Cisl e Uil avevano raggiunto un accordo possibile e quindi buono per definizione. Il fatto che siano stati smentiti dai lavoratori non vuol dire che non abbiano svolto bene il loro compito. È stato commesso l’errore di usare in maniera impropria uno strumento a doppio taglio come il referendum».

In sostanza il referendum si è confermato uno strumento suicida? Bisogna cambiare le regole? Anche quelle sulla rappresentanza sindacale?
«Sindacati e politici devono chiarire innanzitutto a se stessi se vogliono rappresentare gli interessi di iscritti ed elettori o vogliono esserne semplicemente i portavoce. Non si può risolvere tutto con i referendum delegando alla base responsabilità che sono di chi ha il dovere di decidere con una visione di medio e lungo termine del Paese. Questo è il tempo degli impegni e dei sacrifici del presente per conquistare il futuro e non delle rendite di posizione o peggio ancora degli scambi con la politica e con il governo». 

In caso di vendita quale sarebbe la soluzione migliore? Lufthansa, Ryanair, EasyJet?
«Non vogliamo entrare nel merito di scelte aziendali. Possiamo solo ribadire che qualsiasi strada si sceglierà di seguire dovrà tener conto dei principi di competitività che non sono più derogabili e sempre meno lo saranno in futuro».

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