L'ad di Atlantia: «Ecco come Etihad farà volare Fiumicino»

Giovanni Castellucci
di Umberto Mancini
3 Minuti di Lettura
Lunedì 11 Agosto 2014, 10:35 - Ultimo aggiornamento: 11 Febbraio, 19:10
Solo pochi mesi fa, era settembre, emersa la gravit del dissesto, c’erano due alternative per Alitalia. Una strada, la pi scontata, era il fallimento tout court, che avrebbe cancellato decine di migliaia di posti di lavoro, o l'alternativa di una procedura di amministrazione controllata (legge Marzano) che avrebbe determinato l'accollo da parte dello stato degli oneri della gestione, almeno mezzo miliardo all'anno, aspettando di poter recuperare qualcosa dalla vendita di qualche pezzo dell’azienda. L’altra strada, coraggiosamente imboccata, era la costruzione di un piano di salvataggio serio. Con ulteriori risorse finanziarie ed un piano industriale realistico. Per avere il tempo per negoziare una partnership che tutelasse l’integrità di Alitalia e soprattutto la connettività internazionale del Paese. L’accordo con Etihad è esattamente questo. Un accordo che darà impulso al sistema Paese, al turismo, allo sviluppo di Fiumicino».

E’ molto soddisfatto Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Atlantia, azionista di Alitalia e Adr, che ha lavorato fin dalle prime ore alla costruzione del matrimonio tra la compagnia italiana e gli arabi. Lo ha fatto nel riserbo assoluto e con tenacia, anche quando tutto sembrava perduto, tra i dubbi delle banche, gli interrogativi dei soci e le resistenze sindacali.



Adesso cosa cambia per Alitalia e per il Paese?

«Cambia molto. Alitalia ha le risorse finanziarie e può fare ”sistema” con le compagnie di Etihad, sfruttare le sinergie operative e svilupparsi nel traffico intercontinentale».



In cifre?

«Ci saranno oltre il 30% in più di aerei a lungo raggio, e l’integrazione consentirà di attrarre più passeggeri soprattutto dall’Oriente e dal Sudamerica con l’hub della Capitale al centro».



Se fosse invece passato il piano Air France, al centro ci sarebbe stata Parigi.

«Un piano Air France non l’ho mai visto. Air France è troppo presa dal piano di ristrutturazione per impegnare in Italia risorse manageriali e finanziarie. Probabilmente se fosse saltato l’accordo con Etihad, AF si sarebbe presa, in liquidazione, qualche asset e le rotte più interessanti per alimentare Parigi. La storia per Alitalia sarebbe finita così».



Quale è stato il momento chiave con Etihad?

«Ce ne sono stati più di uno. Dopo la decisione dei primi di ottobre di provare a salvare Alitalia, l'altro momento chiave è stato l’avvio della trattativa con Etihad che aveva già' avuto in passato modo di vedere il "dossier" Alitalia».



Ma nell’estate del 2013 gli arabi avevano però detto «no grazie». Poi perché hanno cambiato idea? Forse grazie al viaggio nel novembre scorso in cui lei ed emissari del governo incontraste i vertici della compagnia?

«Ci furono la percezione di forte discontinuità del piano industriale preparato in ottobre dalla società e che l'operazione avrebbe aperto altre opportunità nel nostro Paese».



Poi a dicembre ci fu un incontro chiave a Berlino e altri summit in cui si sviluppò la trattativa: bisogna dare atto ai soci privati di aver fatto il massimo, di essere stati coraggiosi nonostante gli errori del passato, i milioni dieuro andati in fumo.

«C’è stato coraggio. Nell'autunno del 2013 vennero messi sul piatto 465 milioni inclusi nuovi finanziamenti. Nella speranza di poter trovare un serio partner per Alitalia. E per assicurarci di poter arrivare al closing abbiamo dato disponibilità a immettere altri 300 milioni di capitale fino a dicembre. Ma non è avventatezza. Il progetto di alleanza è molto serio e sono convinto che giustifichi appieno l'investimento».



Continua a leggere sul Messaggero in edicola o su Messaggero digital
© RIPRODUZIONE RISERVATA