Alitalia e Ilva, due dissesti alla ricerca di un approdo

Alitalia e Ilva, due dissesti alla ricerca di un approdo
di Umberto Mancini
4 Minuti di Lettura
Giovedì 21 Dicembre 2017, 10:12
Incertezza sul futuro, lavoratori a rischio, strategie tutte da declinare. Sono i punti che accomunano, pur tra qualche distinguo, due delle principali realtà d'impresa italiane alle prese con crisi aziendali, vertenze sindacali e interlocuzione con il governo. Alitalia e Ilva sono aziende strategiche che stanno attraversando una lunga fase di instabilità, alla ricerca di un assetto stabile, di un salto di qualità, di un futuro più coerente.

In cima ai dossier caldi è però l'Ilva che preoccupa maggiormente, al centro di uno scontro tra il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, e il governatore della Puglia, Michele Emiliano. Da Genova a Taranto i lavoratori aspettano con il fiato sospeso, tra mobilitazioni e scioperi, dopo l'arrivo del piano industriale con i dettagli su produzione, assunzioni e contratti previsti dai nuovi proprietari che prevedono 4 mila esuberi subito e circa 10 mila assunzioni nel tempo. Si tratta di uno schema in fieri che da subito ha fatto salire l'attenzione sul tema occupazionale. Ma al di là del nodo degli organici, a tenere aperta la partita è il braccio di ferro fra Calenda ed Emiliano. Da un lato, come è ovvio, il ministro difende il piano industriale e ambientale messo faticosamente a punto da ArcelorMittal, scelto dai commissari guidati da Enrico Laghi per rilanciare il gruppo siderurgico e dare una prospettiva all'industria dell'acciaio in Italia. Dall'altro, c'è il muro del governatore della Puglia che ha fatto scattare la guerra con Palazzo Chigi, con il ricorso al Tar e il blocco, almeno al momento, dell'operazione di salvataggio e rilancio.

LA POSTA IN GIOCO
Ma di là delle polemiche, con Calenda che ha chiesto a Emiliano di ritirare il ricorso e di sedersi al tavolo per Taranto, sono due i nodi da sciogliere. Il primo, decisivo, riguarda l'accordo con i sindacati. Arcelor, come noto, oltre a salvare un gruppo che solo 2 anni fa era fallito, ha messo sul piatto 5 miliardi, tra investimenti industriali e piani ambientali. E vuole chiudere il cerchio. Del resto, spiegano fonti aziendali, non ci sono alternative. Ne sono consapevoli anche i sindacati che sperano in una conclusione positiva dell'operazione. Anche perché gli esuberi avrebbero comunque un paracadute, quello previsto dai commissari straordinari fino al 2023 e verrebbero impiegati in bonifiche ambientali. L'altro nodo, connesso al primo, e che potrebbe sciogliersi solo a marzo, riguarda il verdetto dell'Antitrust. L'authority potrebbe infatti chiedere ad Arcelor, primo produttore al mondo di acciaio, di cedere alcuni asset, ma non parti dell'Ilva.

Di certo, sia l'azienda che le organizzazioni dei lavoratori, sanno bene che la posta in gioco è altissima: senza l'Ilva non solo andrebbero in fumo migliaia di posti di lavoro - 20 mila compreso l'indotto - ma anche la filiera dell'acciaio made in Italy.

Intanto, in attesa di una soluzione (anche la Cdp è pronta a entrare in campo), qualche centinaio di chilometri più a nord, a Piombino, sembra profilarsi una soluzione dopo l'annuncio della disponibilità da parte di Cevital a vendere Aferpi.
ALI TEDESCHE
Fin qui l'acciaio. Quanto ad Alitalia, che ha affrontato tre crisi in meno di dieci anni ed è costata finora non meno di 7 miliardi, prosegue la ricerca di un acquirente. L'obiettivo perseguito dai commissari guidati da Luigi Gubitosi rimane la cessione unitaria. Ma solo il fondo speculativo americano Cerberus si sarebbe fatto avanti per rilevare tutti gli asset, mentre Lufthansa ed EasyJet hanno fanno proposte limitate alla parte aviation. I commissari stanno intensificando gli incontri proprio con i tedeschi per provare a serrare i tempi e chiudere la trattativa entro gennaio, come chiesto del resto dai ministri Calenda e Graziano Delrio. Il governo spinge forte in queste direzione allo scopo di sottrarre il caso al tavolo già bollente della campagna elettorale. Palazzo Chigi, pur non soddisfatto per le offerte finora ricevute, ha anche capito che bisogna insistere con Lufthansa perché sia Cerberus che EasyJet non danno, almeno per ora, sufficienti garanzie di solidità e, soprattutto, prospettive di sviluppo industriali di lungo termine. Gli americani non hanno nemmeno presentato una offerta vincolante, limitandosi ad annunciare il proprio interesse attraverso la carta stampata. Insomma, in assenza di una svolta, sempre possibile ma alquanto improbabile, resta difficile immaginare che possano fare concorrenza al piano Lufthansa che, in oltre 20 pagine, mette nero su bianco la proposta: dalla strategia di crescita alle rotte da implementare, dalle sinergie agli interventi per aumentare produttività ed efficienza, dal livello di load factor da raggiungere alle tratte da tagliare. Per questo, per evitare gli errori del passato, la proposta tedesca è flessibile pur avendo alcuni punti fermi.

Il nodo del prezzo, ad esempio, è considerato lo scoglio più semplice da superare. Sul tavolo ci sono fino a 250-300 milioni di euro, cifra che potrebbe ridursi o aumentare in funzione delle condizioni che il governo e gli stessi commissari potranno individuare per gestire la fase di transizione. Ma il problema vero, su cui si sta trattando ad oltranza, è quello degli organici. Perchè Lufthansa immagina una New Alitalia risanata e con non più di 6 mila dipendenti e una novantina di aerei. Il che vuol dire circa 2 mila esuberi, escluso naturalmente l'handling che non rientra, come risaputo, nell'offerta di Francoforte. Tra richiesta e offerta ballano 900-1.000 posti di lavoro, un divario ampio che però le parti vorrebbero, il condizionale è d'obbligo, provare a colmare.

 
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