Ferrero, settant’anni di dolcezza contro i luoghi comuni

Ferrero, settant’anni di dolcezza contro i luoghi comuni
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Giovedì 1 Dicembre 2016, 17:36 - Ultimo aggiornamento: 2 Dicembre, 16:08
Colosso mondiale e riservatezza piemontese, bilanci a posto e sensibilità aziendale: così il gruppo della Nutella riesce a respingere gli attacchi più insidiosi della concorrenza

La prima folata di profumi che aleggia sulle rosse torri medievali di Alba è di nocciole tostate. Poi s’insinua l’aroma del cacao. Se il vento soffia dal Monviso, si spande un leggero sentore di menta. Siamo nella capitale delle Langhe, dove in autunno frotte di turisti stranieri vanno a caccia di un piatto di tajarin con le trifule (i tagliolini con il famoso e carissimo tartufo bianco). Le colline intorno, con i vigneti dei grandi vini rossi, sono diventati Patrimonio dell’Umanità per l’Unesco. Ma senza i Tic Tac, la Nutella, gli ovetti Kinder, questa terra del sud Piemonte non sarebbe oggi così ricca. La Ferrero è il terzo gruppo dolciario del mondo e in questi giorni lo stabilimento lungo le rive del fiume Tanaro lavora giorno e notte per le consegne del Natale. Con i suoi 400 mila metri quadri, è l’impianto industriale di confectionary più grande d’Europa. Quando si entra nei capannoni – per la prima volta il 25 e 26 novembre la Ferrero ha aperto le sue porte -, rigorosamente senza macchine fotografiche e dotati di camice bianco e cappellino, ci si sente come Charlie Bucket, il protagonista de La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl. Il macchinario che può sfornare fino 20 milioni di praline Ferrero Rocher (sì, al giorno), lungo ottanta metri, è un gioiello di innovazione, al quale lavorò anche il “patron” dell’azienda, il Cavalier Michele Ferrero scomparso a 89 anni nel febbraio del 2015. L’impero dolciario del made in Italy è ancora una family company: niente Borsa, niente soci, poche acquisizioni esterne (le ultime sono state il marchio inglese del cioccolato di qualità Thorntons e la turca Oltan per la lavorazione delle nocciole). Tutto è incominciato da una piccola pasticceria sulla via Maestra di Alba, dove nel 1946 Pietro Ferrero e la moglie Piera Cillario ebbero l’intuizione di creare il “dolce degli umili” per soddisfare la voglia di dolcezza degli italiani dopo la guerra: assomigliava a un lingotto, era un panetto a base di pasta di nocciole e cacao da tagliare a fette. Fu battezzato Giandujot e in poco tempo i furgoni color crema e cacao della Ferrero portarono in tutta Italia quelle specialità così buone e a poco prezzo. L’innovazione è sempre stata la cifra del successo di questa multinazionale del dolce. Sia per l’invenzione di nuovi prodotti, sia per le tecniche di vendita sui più diversi mercati.

GLI ANNI DEI CAPITANI CORAGGIOSI
Nel fervido dopoguerra ricco di “capitani d’industria coraggiosi”, in pochi anni il primo capannone di Alba si ingrandì a vista d’occhio: a fine 1952 i dipendenti erano già 300, ma in soli dieci anni, nel 1961, arrivarono a 2.700. Oggi i dipendenti della Ferrero sono circa 6.500 in Italia e 40 mila nel mondo (compresi i collaboratori), con 22 fabbriche nei cinque continenti (l’ultima in Cina), quattro delle quali in Italia. Quali sono le ragioni di questa crescita tumultuosa? La ricerca è alla base di tutto, spiega l’amministratore delegato di Ferrero Italia Commerciale, Alessandro D’Este: «I nostri prodotti devono essere diversi dagli altri: più buoni e più belli, ma soprattutto rispondere alle esigenze dei consumatori, senza essere in competizione con altre specialità esistenti. Questa è stata la grande intuizione di Michele Ferrero. Ealla Soremartec, la nostra azienda per l’innovazione che opera per tutto il gruppo nella sede di Alba, si lavora in continuazione per creare novità capaci di stupire». Negli ultimi otto anni la Ferrero ha investito nel nostro Paese circa 900 milioni di euro, per un giro d’affari annuo di 2,6 miliardi di euro, suuntotale di oltre 9,5 miliardi del gruppo nel mondo. Il fatturato nel 2014-2015 (i bilanci chiudono al 31 agosto di ogni anno) ha avuto un incremento del 5,4%, che per Ferrero è un po’ meno del consueto. «La crisi dei consumi si è fatta sentire anche in Italia – dice D’Este – anche se alla fine dell’anno abbiamo avuto il boom di B-Ready, la nostra mini-baguette farcita con Nutella, diventata in pochi mesila seconda referenza nel settore dei biscotti ».

L’azienda ha festeggiato nel 2016 i suoi 70 anni dalla nascita, enel2014hacreatoun evento globale per il mezzo secolo di Nutella, la crema da spalmare alle nocciole prodotta in dieci stabilimenti nel mondo: da sola, vale circa il 20 per cento del fatturato. Contiene olio di palma da sempre, e la Ferrero ha voluto spiegare ai consumatori con unospot in tv – in controtendenza rispetto alla pubblicità del “senza” – perché intende mantenere quell’ingrediente: un recente convegno scientifico ha dimostrato che non è piùnocivoperla salutedi altri grassi alimentari. Inoltre l’olio tropicale è selezionato in Indonesia e Malesia, in modosostenibile per l’ambiente – assicural’azienda -, epoi lavoratoad Alba senza l’uso di alte temperature per purificarlo.

IL SEGRETO DEGLI EVERGREEN
Le specialità di Ferrero non seguono il ciclo tradizionale di vita, secondo le regole marketing – introduzione, crescita, maturità, declino -: sono degli evergreen da decenni, sostenuti da un’azione pubblicitaria e di rilancio dei brand, trasferita dagli spotanche al web. Il Mon Chéri è nato nel 1956 e conquistò la Germania: mentre là gli italiani facevano i camerieri, Michele Ferrero vi costruì una fabbrica ad Allendorf, vicino a Francoforte. La Nutella è del 1964; il Tic Tac (grande successo negli Usa) fu lanciato nel 1969; l’Estathè (primo tè freddo industriale al mondo) è del 1972;gli ovettiKinder- disse ilsignor Michele: «Diamo ai bambini le sorprese di Pasqua tutto l’anno», idea semplice e geniale – esordirono nel 1974; infine il Ferrero Rocher, la pralina di cioccolato più venduta nel mondo, è del 1982. Mal’azienda non è ferma sugli allori, perché negli ultimi due o tre anni ha lanciato nuovi prodotti con maggiore velocità di un tempo: il successo di B-Ready lo dimostra.

Ferrero è anche la prima impresa italiana per reputazione (al diciottesimo posto su scala mondiale), seguita da Armani, Pirelli, Barilla e Lavazza. Lo ha stabilito nel marzo 2016 il Global RepTrak, stilato ogni anno dal Reputation Institute. La governance del gruppo è sempre in mano alla famiglia: dopo la morte di Michele, la guida è passata al figlio Giovanni Ferrero, 52 anni, che è il ceo del gruppo e lavora con uno staff di 700 persone a Lussemburgo. La sua visione rimane improntata alla riservatezza, all’efficienza, alla responsabilità sociale. Pochi lo sanno, ma in Camerun, India e Sud Africa sono impiegati circa 3.000 dipendenti in tre Imprese Sociali Ferrero a bassa intensità tecnologica, che danno lavoroalle popolazionilocali.Durante la visita a una di queste, a Città del Capo, nell’aprile 2011 morì improvvisamente a 48 anni l’altro figlio del Cavalier Ferrero, Pietro, che aveva diviso fino ad allora la responsabilitàdell’azienda col fratello.Ma,come soleva dire Michele Ferrero (mai una intervista, mai una foto, mai un po’ divitamondana),ilveropadrone dell’azienda rimane “la signora Valeria”: cioè il consumatore.

Ferrero

Piazzale Pietro Ferrero n° 1 - 12051 Alba (Cuneo)
AMMINISTRATORE DELEGATO: Giovanni Ferrero

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