Alitalia, Mancuso: «Con Air France nessun futuro»

Salvatore Mancuso
di Osvaldo De Paolini
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Lunedì 7 Ottobre 2013, 14:52 - Ultimo aggiornamento: 19:35
Air France il futuro d’Alitalia? Non credo. Noi abbiamo commesso errori, loro molti di pi. Salvatore Mancuso, vicepresidente della compagnia italiana, non ama la perifrasi. E’ un tipo diretto, che va subito al sodo. Attraverso la sua Equinox possiede il 3,8% del capitale Alitalia. Premette che una delle ragioni che lo hanno indotto a rilasciare questa intervista sono le molte sciocchezze che in questi mesi sono state scritte sulla compagnia e sul perché è nata.



Mancuso, in quale veste preferisce parlare?

«Di azionista di Alitalia che rappresenta un gruppo importante di soci. Di imprenditore che ha investito nella compagnia non solo per il giusto ritorno economico, ma anche perché avevo il desiderio, come molti di noi che voi giornalisti chiamate ironicamente patrioti, di poter fare qualcosa per il mio Paese, consentendogli di preservare una grande infrastruttura strategica».



Le ricordo che fu Silvio Berlusconi a battezzarvi «cordata di patrioti». A proposito, perché contesta che sia stato il suo governo a impedire che i francesi assumessero subito il comando della compagnia? Se non ricordo male, ne fece una questione di italianità.

«Balle. Quando il governo Berlusconi ci chiese di scendere in campo, i francesi avevano già abbandonato il tavolo a causa dell’intransigenza del sindacato che non accettava di ridurre a meno della metà i quasi 20 mila dipendenti della vecchia Alitalia. Incise anche l’esplosione del prezzo del greggio, che in pochi mesi aveva sconvolto i loro piani».



Però è vero che la vostra impresa è costata non poco allo Stato italiano.

«Altra sonora balla. Continuate a scrivere che l’Alitalia dei patrioti è costata 3 miliardi ai contribuenti. Qualcuno di voi dovrà spiegare prima o poi come si arriva a questa cifra. E comunque poi dovrà fare la somma algebrica con quanto abbiamo fatto risparmiare allo Stato italiano. E non credo che il risultato sarà quello che scrivete».



Ci risparmi la fatica, provi lei a mettere in fila i numeri.

«Prima di tutto l’apporto degli azionisti privati: oltre 1 miliardo. Va poi considerato che in origine le persone occupate in Alitalia e Air One erano 21.700. La nostra operazione ha consentito di salvaguardare 15.000 posti di lavoro, quasi il doppio di quanto proponevano i francesi. E’ vero che 5 mila dipendenti hanno beneficiato della cassa integrazione straordinaria, e comunque ci sarebbe stata anche con i francesi, ma di questi, 1.200 sono stati riassorbiti e 1.400 sono stati stabilizzati con contratti a tempo indeterminato. In conclusione, oggi il 92% dei dipendenti Alitalia è a tempo indeterminato e grazie a noi 51.000 famiglie, tra dipendenti diretti e indotto, hanno lavoro stabile. Quanto vale tutto ciò per lo Stato italiano? Per non dire del fatto che abbiamo sollevato il Tesoro dal gravame di perdite (in trent’anni più di 5 miliardi nonostante il greggio costasse pochi dollari) che ogni anno produceva la vecchia Alitalia».



Però i conti non vanno bene e il debito è cresciuto molto. Si dice che in cassa abbiate pochi milioni. E’ solo colpa della congiuntura? Nulla da rimproverarvi?

«Se abbiamo cambiato due volte il management una ragione ci sarà. Quanto al modello di business, ammetto che siamo stati troppo proni alla strategia dei francesi, che hanno sempre spinto per un modello di trasporto regionale. Invece avremmo dovuto puntare da subito sul lungo raggio».



Che cosa chiedete ora al governo?

«Che ci dia una mano a salvaguardare un grande valore strategico per il sistema Italia. D’altro canto, non è forse vero che Air France è posseduta per il 15% dallo Stato francese? Dunque, non mi sembra che si stia chiedendo la luna. Per il governo sarebbe anche l’occasione di mantenere la sovranità su una infrastruttura strategica».



Il premier Letta vuole sondare la disponibilità delle Fs a intervenire nel capitale di Alitalia con una quota di minoranza. Potrebbero essere il partner industriale che cercate?

«Le Fs non sono una compagnia aerea, per cui non potranno mai essere il partner industriale di largo respiro che andiamo cercando. Però è vero che potrebbero esserci interessanti sinergie intermodali».



Di quanto ha bisogno Alitalia per andare avanti?

«Abbiamo varato un aumento di capitale per 250 milioni, di cui 95 già versati attraverso un prestito soci. Completando l’aumento e con nuova finanza per 200-300 milioni da parte delle banche, avremmo tutte le carte in regola per sederci attorno al tavolo con il potenziale partner industriale che, ripeto, non può essere Air France. Con loro sarebbe il fallimento di questa avventura».



I manager di Air France sostengono che l’apporto di capitale che avete di recente deliberato non basterà a rilanciare Alitalia.

«Ho smesso di polemizzare con loro quando ho capito che il loro unico interesse è portarsi a casa Alitalia e il suo straordinario mercato per un tozzo di pane».



Quanti dei 20 azionisti italiani sono pronti a fare la loro parte?

«Non pochi. Ma sono convinto che se il governo ci darà i segnali giusti, nessuno si tirerà indietro. Si tratta di valorizzare un bene d’interesse generale, con un fatturato di oltre 3,6 miliardi, un contributo alla bilancia dei pagamenti per 1,5 miliardi, 25 milioni di passeggeri trasportati ogni anno in tutto il mondo, 650 voli al giorno. Per non dire degli 8,1 milioni di stranieri che trasportiamo in Italia per lavoro o turismo e del fatto che con 141 aeromobili siamo una delle più giovani flotte d’Europa. Saremmo dei pazzi a rinunciare a tutto ciò a favore di Air France».



Proprio non le piacciono i francesi.

«La Francia mi piace molto, è un Paese che ammiro dove si vive molto bene. Non mi piace ciò che vorrebbe fare Air France di Alitalia».



Vale a dire?

«Ridurre l’aeroporto di Fiumicino a terzo hub con un ruolo poco più che regionale causando la perdita di migliaia di posti lavoro, cancellare il nome dell’Italia dalle grandi rotte, impedire lo sviluppo di Alitalia in Africa, un paese che si prepara a diventare un grande mercato. Tutto ciò è inaccettabile. Se pensano di risolvere i loro problemi interni usando la nostra compagnia, si sbagliano di grosso».



Dica la verità, li metterebbe volentieri alla porta.

«Per niente. Sono azionisti di rilievo e se partecipano al rischio aziendale, è giusto che facciano valere le loro opinioni. Purché non siano di danno all’integrità dell’azienda. Piuttosto, ci aiutino a trovare il partner globale giusto e vedranno che le nostre resistenze cadranno come d’incanto».



Quale può essere il partner ideale? Aeroflot o Etihad?

«Aeroflot è senza dubbio una buona opportunità. Ma penso che Etihad darebbe ad Alitalia qualche chance in più. Anzitutto favorirebbe una mutua alimentazione dei rispettivi hub attraverso la canalizzazione su Roma dei flussi provenienti dal Sud Est asiatico. E’ ovvio che in questo scenario, Etihad avrebbe interesse, al contrario di Air France, allo sviluppo dell’aeroporto di Roma considerandolo l’hub di riferimento nel continente europeo».



Quanto dovrebbe investire Etihad in Alitalia?

«Assumerebbe una partecipazione di minoranza, consentendo alla compagnia di mantenere un controllo stabile in mani italiane».
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