Silvia Candiani, ad di Microsoft Italia: «Ragazze siate digitali e allenatevi al coraggio»

Silvia Candiani, ad di Microsoft Italia: «Ragazze siate digitali e allenatevi al coraggio»
di Maria Lombardi
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Mercoledì 26 Ottobre 2022, 15:18 - Ultimo aggiornamento: 6 Novembre, 19:47

I numeri li avete già (studiose, precise, competenti insomma brave ragazze, anche troppo). Aggiungerne altri serve e servirà sempre di più, ma anche questo lo sapete già. E dunque: combattete con gli algoritmi fino a sfinirvi, addomesticate software e formule, correte dietro ai robot che corrono più di voi, imparate ad imparare. Però poi fermatevi. Un bel respiro e via, buttatevi. Con i numeri che avete in tasca, non importa se non sono tutti quelli che vi chiedono e fregatevene delle figuracce, dei fallimenti e dei lividi. Mettere alla prova la memoria non basta più, è il coraggio che ora dovete allenare: se ve lo dice Silvia Candiani, una che ne ha avuto abbastanza tanto da diventare ad di Microsoft Italia - la prima - già nel 2017, dovete darle retta. Tranquille, siete sulla buona strada anche se non ne potete più di sentirvi ripetere studiate le Stem, matematica ingegneria tecnologia e scienze, e ci state provando ad andare dove va il futuro. E Stem, sia.

Le studentesse italiane in informatica e Ict lentamente aumentano, con le immatricolazione che segnano nel 2021 un 16% in più. Ancora meglio nel 2022, gli effetti della marcia li vedremo tra qualche anno. Poca roba, direte, il digital gender gap è ancora lì, quasi intatto. Un segnale non da poco, però. E se guardiamo lontano, attraversando il mondo, vedremo un bel 33: la percentuale di donne che entro la fine dell’anno lavoreranno nelle grandi aziende tecnologiche. «Dobbiamo arrivare alla metà, solo allora potremmo ritenerci soddisfatti».

Silvia Candiani, anche se ancora sono poco più del 20 per cento le studentesse Stem in Italia possiamo dire che le più giovani qualche passo in più verso il futuro lo stanno facendo? O stanno ancora sprecando una grande occasione?

«C’è qualche segnale in questo senso, ma ancora di più c’è l’urgenza di avere le persone con le competenze giuste.

Finora verso gli studi Stem c’è stata una resistenza. Le giovani erano frenate dal fatto che vedevano questi lavori come aridi, da nerd. Preferivano la medicina perché la consideravano uno strumento per aiutare gli altri. Adesso la visione sta cambiando. Abbiamo lavorato tanto perché il digitale sia vissuto come un mezzo che può avere un impatto positivo sul sistema, l’ambiente, la sostenibilità. Può ottimizzare l’uso dell’energia e dell’acqua, ad esempio».

L’Italia è al quintultimo posto in Europa sul fronte del digital gender gap. Quanto ci costa questo divario?

«In Italia non riusciamo a coprire 150mila posti di lavoro per cui sono richieste competenze Stem. E andrà sempre peggio, perché la richiesta sarà più alta. Nel momento in cui c’è una tale fame di talenti, dobbiamo assolutamente garantire il massimo accesso a tutti, senza perdere metà del mondo perché è donna. É un’emergenza. Si finisce per contendersi i talenti tra una società e l’altra».

Poche donne in posizioni di rilievo nelle aziende digitali e ancora poche quelle che lavorano nell’Intelligenza Artificiale. Questa scarsa presenza che conseguenze può avere?

«Può diventare un problema sociale: i sistemi di intelligenza artificiale hanno un impatto positivo sulla vita dei cittadini e devono essere sviluppati in modo paritario affinché si creino prodotti e servizi pensati per tutti».

Come è la situazione in Microsoft?

«Per quanto riguarda le assunzioni siamo quasi alla parità, ma salendo le percentuali cambiano. I direttori dei sistemi informativi per la maggior parte sono uomini».

Secondo una recente indagine di SheTech più della metà delle italiane che lavorano in ambito tecnologico (il 69%) sostiene di dover superare ostacoli più grandi dei colleghi uomini. Che ne pensa?

«Nel mercato italiano è più difficile per le donne emergere, se quelle che ricoprono il ruolo di amministratore delegato sono meno del 20% vuol dire che qualcosa nella catena non funziona. Ma nelle aziende tecnologiche esistono minori condizionamenti che nelle altre perché questo è un settore più competitivo e ad alta crescita. Si tende ad essere più meritocratici e questo è un vantaggio per le donne. In Microsoft facciamo tanto lavoro sui manager perché si rendano conto di eventuali pregiudizi inconsci, li valutiamo anche in base alla capacità di coinvolgere le donne nei team e nei ruoli. E lavoriamo sulle donne perché rafforzino l’autopercezione e acquisiscano autostima».

Deficit di autostima e paura di sbagliare frenano ancora la crescita delle donne e delle ragazze in questo settore?

«Purtroppo sì, le ragazze devono allenarsi al coraggio. Bisognerebbe educarle ad assumersi più rischi, a buttarsi, anche a prendere facciate. Fatevi venire un’idea e aprite una start up, osate. Purtroppo ancora le donne si candidano a un ruolo solo se hanno il 90% delle qualifiche, gli uomini quando ne hanno il 60%. E invece bisogna lanciarsi e poi imparare velocemente».

Lei l’ha fatto?

«In Microsoft sono diventata direttore Marketing e della divisione Consumer & Online senza aver mai venduto nulla. Quando i miei due figli erano piccoli ho guidato la divisione Consumer e Channel per l’area dell’Europa centrale e dell’est, viaggiando da Milano 3 giorni su 5. Ho un marito che mi ha supportata, una delle scelte fondamentali della vita».

Da piccola sognava di fare l’archeologa come si è trovata ai vertici di una big tech?

«Da liceale mi appassionavano le storie del passato, poi a 18 anni ho capito che mi piaceva fare le cose che avessero un riscontro concreto. Ho studiato Economia alla Bocconi e con l’esperienza in McKinsey e in Omnitel, poi divenuta Vodafone, mi sono avvicinata all’innovazione. In Microsoft ho visto l’opportunità di lavorare in un settore che faceva la differenza, quello digitale, e definiva tutti gli altri».

Le competenze si imparano, ma quale attitudine sarà richiesta alle giovani nel futuro?

«Le competenze hard sono fondamentali. Ma alla fine conta molto il problem solving, la capacità di dividere i problemi in pezzetti, e affrontarne uno per volta, o l’attitudine a collaborare. E poi ci vuole la visione e il ragionare da manager, pensare in grande».

I giovani talenti mancano ma spesso fuggono dalle aziende. Come trattenerli?

«Vedo tanti giovani idealisti, per loro è importante scegliere un ambiente di lavoro che abbia un approccio sociale e sostenibile. Sono più centrati sui valori, per coinvolgersi bisogna far vedere il senso di quello che si fa e che impatto avrà nel futuro».

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