La famiglia formato Ue: dal Belgio alla Spagna ecco le leggi sugli aiuti

La famiglia formato Ue: dal Belgio alla Spagna ecco le leggi sugli aiuti
di Francesca Pierantozzi
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Mercoledì 28 Ottobre 2020, 10:55 - Ultimo aggiornamento: 20 Novembre, 10:05

Garantire gli alimenti alle madri separate, come in Belgio, stipendiare chi assiste un familiare non più autonomo, come in Germania, sussidi per chi sta in quarantena, come in Finlandia: in attesa dei piani concreti dei Paesi Ue sulla base delle linee della Next generation Ue, le risposte nazionali dei Paesi europei alla crisi sanitaria cominciano, timidamente, a integrare misure di genere, in considerazione del fatto che proprio il new deal europeo vede nelle donne la leva primaria per la rinascita continentale. Anche se molta strada resta da fare per convincere chi decide (in particolare chi scrive i programmi di rilancio economico) a considerare prioritari i Servizi e la cura alle persone (a forte occupazione femminile) rispetto a Digitale, Costruzione e Trasporti, settori tradizionalmente maschili e per ora in testa alla classifica degli aiuti. Dalla fine dell’estate gli Stati europei però stanno presentando in ordine sparso i loro programmi alla Commissione, per beneficiare degli aiuti previsti da Next Generation Ue, il piano di rilancio europeo da 750 miliardi di euro. Anche se veri strumenti nuovi a favore delle donne si faticano a trovare (e ricordiamo che non è solo un problema di genere, visto che la sottoccupazione femminile costa all’Europa circa 370 miliardi di euro tra mancata produzione di ricchezza e minore quota di gettito fiscale), qualcosa però si sta muovendo.

GLI INTERVENTI

 Il Belgio, per esempio, ha creato una task force per combattere le violenze domestiche davanti ai dati allarmanti arrivati durante e dopo il confinamento. Oltre ai sussidi specifici e ai congedi speciali per chi ha figli di età inferiore ai 12 anni, il governo di Bruxelles ha anche istituito un dispositivo di garanzia statale per il versamento degli alimenti in caso di diminuzione del reddito del padre. Attraverso la Kela (la cassa di previdenza sociale) la Finlandia assicura invece lo stipendio alle donne con figli minori di 16 anni in quarantena, che siano lavoratrici dipendenti o libere professioniste. In Francia, un “bonus” d’emergenza da 150 euro è previsto per le famiglie con redditi bassi, oltre all’assegno da 100 euro a figlio già stanziato da maggio. La Germania ha invece pensato a chi si trova a dover assistere familiari non autonomi: una nuova misura prevede un sussidio per una durata massima di venti giorni. Nel piano di stimolo presentato a giugno (Berlino è stata tra i primi a dare alle stampe il proprio programma di rilancio) c’è anche un assegno supplementare di 300 euro a bambino inviato alle famiglie con redditi bassi. In Spagna, i servizi di sostegno e protezione delle donne vittime di violenza sono stati dichiarati “servizio essenziale”, cosa che garantisce funzionamento e finanziamento durante crisi, anche in caso di lockdown. Particolarmente popolare, infine, tra l’arsenale di misure anti-crisi, l’allungamento del congedo di paternità. In Francia è addirittura raddoppiato: il padre – o genitore 2 in caso di coppie omosessuali – ha ormai il diritto di prendere fino a 28 giorni di congedo (contro i precedenti 14), di cui sette sono obbligatori. Tre giorni a carico del datore del lavoro, gli altri compensati dalla Previdenza sociale.

IL CASO NORVEGIA

 Niente, rispetto all’asticella molto alta che ha introdotto la Norvegia, dove i padri beneficiano ormai di 14 settimane di congedo paternità retribuito, mentre in Svezia i genitori possono dividersi a piacimento fino a 480 giorni di congedo, con l’obbligo di prenderne almeno 60 ciascuno. In Italia il Family Aat ha portato il congedo di paternità a 10 giorni. Anche le politiche familiari, prima spesso pensate per ridare tono a una demografia quasi dovunque in affanno, diventano un possibile pilastro per la ripresa. La Germania non ha aspettato la crisi sanitaria per puntare sulla famiglia: l’Elterngeld, il sussidio familiare, è stato portato a un minimo di 300 euro a figlio, a condizione che il genitore si occupi del bambino e non lavori più di 30 ore a settimana.

Il genitore che si occupa del figlio, ha il diritto di percepire fino al 67 per cento del salario medio guadagnato nell’ultimo anno per integrare il suo reddito. Anche l’Italia va in aiuto alle famiglie. Dal primo luglio del 2021 arriva l’assegno universale: da 50 a circa 250 euro al mese per ciascun figlio under 21 a carico.

I SERVIZI

In base a un recente studio dell’Ocse, i Paesi più virtuosi con le famiglie secondo la durata del congedo maternità-paternità, la proporzione di bambini che hanno un posto al nido e poi alla materna, sono la Norvegia, l’Islanda e, a sorpresa, l’Estonia. Anche se nessun Paese è arrivato a fare come la Svezia che ha instaurato per legge il diritto che assicura a tutti i bambini un posto al nido dall’età di un anno. In compenso, tra i Paesi più generosi, dopo la supremazia del Lussemburgo (3mila euro di prestazioni familiari in media per abitante), figurano la Danimarca (1676 euro), la solita Svezia, (1398) e la Germania (1233), mentre la Francia, che pure ha la reputazione di Paese più “familista” d’Europa, è soltanto ottava con sussidi medi di 817,30 euro per abitante. Il futuro si annuncia tuttavia ancora ricco di battaglie per il raggiungimento di reali “pari opportunità”, in campo sociale, ma anche economico e fiscale.

IL FUTURO

 E il futuro? In un rapporto di giugno dal titolo chiaro, “Next Generation EU lascia le donne indietro”, il gruppo dei Verdi europei ha sottolineato come “il piano di rilancio si concentri sui settori dominati dagli uomini” e che “se si vuole davvero creare occupazione occorre mettere al centro la parità”. Il rischio, come evidenziato dalle economiste Elisabeth Klatzer e Azzurra Rinaldi, autrici dello studio, è che le donne tornino indietro di decenni sul piano dell’uguaglianza”. Misure efficaci esistono, alcune sono state proposte anche dal rapporto dei Verdi, come delle quote di aziende “rosa” (dirette da donne) nell’attribuzione di prestiti, o l’inserimento del settore dei servizi alla persona tra i settori prioritari del rilancio, senza contare – come suggerito dalla Fondazione Bill & Melinda Gates - che una rappresentazione equa di donne dovrebbe partecipare alla stesura degli stessi piani di rilancio, in generale concepiti da uomini e quasi sempre in assenza del ministro o della ministra per le pari opportunità. L’eurodeputata Alexandra Geese ha lanciato un’iniziativa che ha almeno il merito della chiarezza: “Half of it”, ovvero destinare la metà dei fondi previsti dal Recovery Fund a settori che darebbero impulso all’occupazione femminile e all’avanzamento dei diritti delle donne in termini di equità. Decidere che il settore della cura è prioritario almeno quanto il green e il digitale non significa per esempio soltanto aiutare le pari opportunità, ma anche dare una mano all’economia. In uno studio in via di pubblicazione firmato da Jerome De Henau e Susan Himmelweit si evidenzia come un investimento pari al 2 per cento del Pil nel settore della cura produca sul tasso di occupazione nazionale un effetto maggiore rispetto a un equivalente investimento nel settore delle costruzioni. Per ora tuttavia, le misure adottate o previste dai diversi piani nazionali in chiave di pari opportunità e sostegno alle donne si concentrano soprattutto sulla lotta contro le violenze. «Queste misure rappresentano il 71 per cento di tutte le misure identificate, ovvero 704 iniziative in 135 Paesi» scrive Un Women, l’Ente delle Nazioni Unite per l’Uguaglianza di genere, che ha avviato un “osservatorio” per seguire le risposte dei paesi alla crisi sanitaria in termini di pari opportunità. «L’Europa – sempre secondo Un Women – è la regione del mondo che ha dedicato più risorse alla lotta contro le violenze alle donne, rispetto ad altre misure di sostegno più economiche o fiscali».

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